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Meloni, Salvini e Berlusconi uniti sul palco per un giorno

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ROMA – Uno accanto all’altro, mano nella mano, a salutare il pubblico di piazza del Popolo: il finale annunciato della convention di stasera – l’evento di chiusura della campagna elettorale del centrodestra – ripropone il trio di leader fisicamente sullo stesso palco a distanza di trentatré mesi dall’ultima volta, che fu a Ravenna in occasione delle Regionali emiliane (poi perse). Allora Giorgia Meloni era solo la fiera rappresentante di un partito in crescita, oggi chiuderà da candidata premier la kermesse romana, parlando dopo Maurizio Lupi, il “patriarca” Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Allora, era il 23 gennaio 2020, i partiti che rappresentavano stavano all’opposizione dell’esecutivo Conte, oggi puntano a governare insieme l’Italia.

E la reunion romana – preceduta ieri da un appello alla presenza fatta direttamente da Meloni nelle chat della coalizione – è stata pensata per dare proprio una prova di compattezza. Al termine di una campagna elettorale in cui l’unità è stata una chimera. “Con Giorgia e Silvio siamo d’accordo su tutto. Beh, su quasi tutto”, si è corretto il leader della Lega a Pontida. E in quel “quasi” ci sono almeno sei argomenti forti di divisione: il tema più attuale è la proposta di deficit da 30 miliardi per far fronte al caro bollette. “Chi non lo vuole sbaglia: vale per il Pd come per FdI”, ha detto ieri Salvini. Meloni, ancora una volta, ha dovuto redarguire l’alleato: “Lo scostamento del pareggio di bilancio non è la soluzione. È un pozzo senza fondo, sono soldi che regaliamo alla speculazione”.

Una notevole dissonanza, dentro la coalizione, si è registrata sui partner Ue e sulla visione dell’Europa: Lega e FdI hanno votato contro la risoluzione di Bruxelles che ha bocciato “l’autocrazia elettorale” di Orbán, FI ha detto sì. E Berlusconi ha lasciato lì un macigno a difesa dell sua posizione: “La nostra Europa non è quella di Orbán. E le alleanze vanno fatte con i grandi Paesi amici”. Parole che ricalcano quelle di Draghi, cui il Cavaliere ha già proposto un incarico se il centrodestra andrà al governo. Salvini ha seccamente smentito. Intanto, nel silenzio dei compagni di viaggio, il capo del Carroccio ha definito “follia” la decisione di Bruxelles di mettere fuori legge le auto a benzina e diesel dal 2035. Proponendo un referendum.

Restando in campo internazionale, le note stonate sono giunte sulle sanzioni all’Ucraina. Inutili per Salvini, mentre Meloni ha snocciolato dati diversi: “La Russia ci metterà dieci anni per tornare al Pil di prima della guerra. Le sanzioni sono lo strumento più efficace che abbiamo”. E via così. Il presidenzialismo è la proposta-ariete di Fratelli d’Italia. Salvini frena: “Partiamo da quello che è a portata di mano. Dall’autonomia, ad esempio, che può essere presentata nel primo Consiglio dei ministri”.

Il centrodestra ha scritto nel programma pure la “flat tax”, omettendo di dire come raggiungere l’obiettivo. Per la Lega l’asticella va posta al 15 per cento, per FI al 23. Fratelli d’Italia si pone il problema delle risorse da trovare e allora dice che serve una soluzione graduale: tassa piatta al 15 per cento ma solo su quello che dichiari in più rispetto all’anno precedente. Poi il reddito di cittadinanza, chiave di volta della tornata elettorale al Sud. Salvini, che l’anno scorso voleva cancellarlo, ora dice che va modificato, togliendolo a chi rifiuta un lavoro. Giorgia Meloni ha dovuto sgolarsi, a Palermo, per spiegare a un popolo di percettori che invece va abolito. Infine, una questione non di programma ma di metodo: il leader della Lega, da luglio, ripete che alcuni ministri andrebbero indicati prima del voto.

E ha lanciato il suo fantagoverno, con un leghista (possibilmente Salvini stesso) all’Interno, un diplomatico agli Esteri, un medico alla Sanità, Rixi alle Infrastrutture, Giulia Bongiorno alla Giustizia e – ha aggiunto ieri – un altro esponente del Carroccio all’Agricoltura, Zaia o Centinaio. Un’escalation davanti alla quale Meloni non ha battuto ciglio: “Le scelte sui ministri le faremo in base ai risultati delle urne”. Fine del dibattito. E ieri, da Berlusconi, un distinguo anche sui claim elettorali: “FdI ha scelto “Pronti”, la Lega “Credo”. Ma noi – sottolinea – siamo liberali e non abbiamo parole d’ordine. Noi siamo diversi”. Appunto.

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