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Messina Denaro, pizzini e messaggi vocali: così il boss dava ordini. E all’autista disse: “E’ finita”

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Nonostante il silenzio, Matteo Messina Denaro parlerà. Perché come lui stesso aveva capito quando i carabinieri l’hanno bloccato fuori dalla clinica — «Mi ha detto: “È finita”», ha raccontato il suo autista, Giovanni Luppino, mentre lo portavano in carcere — c’è chi parlerà per lui. Lo faranno i suoi appunti, i libri, quei fogli ancora da decifrare trovati nel covo. Ma soprattutto a “cantare” sarà il suo telefono: uno dei due cellulari sequestrati dai carabinieri è stato utilizzato molto dal boss. A conferma che non si aspettava assolutamente di essere arrestato.

Quel telefonino contiene probabilmente molti segreti, che presto saranno a disposizione degli investigatori. Messina Denaro usava quel cellulare per chiamare chi lo aiutava nella latitanza e aveva pure installato alcune applicazioni per poter scambiare messaggi riservati. Soprattutto, messaggi vocali. Sono i pizzini 2.0.

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Il lavoro di estrazione dei dati sarà lungo e delicato. Esiste già una traccia che documenta come Messina Denaro usasse quelle applicazioni costantemente. Il traslocatore che all’inizio di giugno 2022 ha portato i mobili da via San Giovanni 260, la palazzina che il favoreggiatore Bonafede aveva preso in affitto nel 2016, a via Cb 31 (l’ultima casa del boss), ha infatti consegnato alla polizia anche due messaggi vocali con cui il capomafia gli dava indicazioni sul lavoro da fare. A riprova della familiarità che aveva con la tecnologia. Quella volta, il traslocatore fece anche delle fotografie nella casa che doveva smontare, c’era pure una palestra. Foto che ha consegnato agli investigatori.

I pizzini 2.0 non avevano comunque sostituito del tutto i classici messaggi scritti, nel covo di via Cb 31 ce ne sono alcuni. Nel salotto, il boss aveva invece sistemato i poster dei cattivi del cinema. Non solo il Padrino, ma anche il Joker, il cattivo di Batman, accompagnato da una citazione: “C’è sempre una via di uscita, ma se non la trovi sfonda tutto».

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Ieri, Messina Denaro si è sottoposto al primo ciclo di chemioterapia nell’ambulatorio realizzato ad hoc nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila, dove è recluso da martedì. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani hanno invece continuato la caccia al covo dove potrebbe essere nascosto l’archivio del padrino. Sono state perquisite le case di un altro massone — è il terzo che torna in questa storia — si tratta di un 77enne avvocato radiato dall’albo, è originario di Campobello, ma vive a Bologna: si chiama Antonio Messina, è stato già coinvolto in passato in indagini che ruotavano attorno a Matteo Messina Denaro. La prima abitazione si trova a Campobello, all’angolo tra via Scuderi e Via Selinunte, di fronte casa di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss; il secondo immobile è un’abitazione estiva a Torretta Granito, sul litorale di Mazara del Vallo, nei pressi della sede dell’Istituto per la ricerca marina del Cnr.

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L’ ex avvocato Messina è un personaggio molto particolare: negli anni Novanta, venne condannato per traffico di droga, assieme a lui era imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, che fra il 2004 e il 2007 divenne un infiltrato dei servizi segreti e riuscì a intavolare una corrispondenza con il superlatitante. Qualche anno fa, Messina venne invece intercettato mentre parlava con il figlio di una storico mafioso palermitano, che gli diceva: «Iddu veniva a Trapani». E il vecchio massone chiedeva: «Iddu?». Risposta: «Sì, iddu — confermava il rampollo — lo accompagnava Mimmo alla stazione». Forse con una Mercedes. Iddu, lui, Trapani, stazione, Mimmo, come uno dei fedelissimi del superlatitante, Mimmo Scimonelli, che aveva proprio quel tipo di auto. Ecco forse cos’era la “carrozza” di cui parlavano altri mafiosi qualche tempo dopo, mentre distribuivano i pizzini: «Con la stessa carrozza arrivarono», così dicevano. La carrozza del treno. Nell’epoca di auto veloci e aerei, nessuno mai aveva pensato alla vecchia carrozza ferroviaria per la fuga infinita del capomafia trapanese condannato all’ergastolo per le stragi del 1993. E, ora, si cerca nelle case dell’ex avvocato massone.

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