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ROMA — Non avranno l’aumento da quasi 7 mila euro che era previsto in prima battuta, ma comunque la busta paga di ministri e sottosegretari lieviterà. Travolta dalle polemiche, la stessa premier Giorgia Meloni ha chiesto di ritirare l’emendamento alla manovra che aumentava gli stipendi dei membri del governo che non sono anche parlamentari. Ma in realtà la misura non è stata cancellata del tutto: nella riformulazione dei relatori di maggioranza, concordata con il governo, c’è la possibilità di nuovi rimborsi spese per i viaggi per un totale di circa 2500 euro. E resta nel testo la norma cosiddetta “anti Renzi” che vieta ai componenti dell’esecutivo di ricevere somme da Paesi extra Ue e lo consente, fino a 100 mila euro, soltanto per i parlamentari e i presidenti di Regione, previa autorizzazione.
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Anche ieri alla Camera è proseguito lo scontro sull’iniziativa per alzare gli stipendi a ministri e sottosegretari che guadagnano meno di deputati o senatori. «Pensano a loro stessi, ma ai pensionati danno solo un euro in più», attacca da giorni la segretaria Pd Elly Schlein. «Siamo d’accordo sul ritiro della norma, ma non accettiamo lezioni», ha ribattuto la premier in Aula.
Ma nelle stesse ore in commissione Bilancio, dove si esaminava la manovra, si lavorava per correggere per ben due volte l’emendamento incriminato. Riformulazioni, comunque, non il ritiro del testo. Che a tarda sera è stato approvato. Cosa cambia? In soldoni, è stata cancellata la parte della norma che prevedeva un aumento di 3.500 euro netti al mese per i componenti del governo che non sono parlamentari. Ma potranno comunque avere «diritto al rimborso delle spese di trasferta da e per il domicilio o la residenza per l’espletamento delle proprie funzioni». Teoricamente non c’è un tetto al rimborso, anche se comunque le richieste non potranno superare la soglia complessiva di 500 mila euro: tanto varrà il fondo istituito a Palazzo Chigi per i rimborsi.
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La modifica non placa le polemiche dell’opposizione: «Nel meraviglioso mondo di Meloni, si annuncia il ritiro della norma che aumenta gli stipendi dei ministri, mentre permane la riformulazione che prevede solo un dimezzamento dell’aumento», dice il capogruppo dem in commissione, Ubaldo Pagano.
Dal centrodestra però provano a ribattere. Il capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri provocatoriamente annuncia la presentazione di un disegno di legge che taglia lo stipendio degli eletti in Parlamento: «Così tutti quelli che sono contrari all’aumento per i ministri dovranno sostenere la mia proposta, perché se dobbiamo fare demagogia noi siamo più forti degli altri», dice il senatore di Forza Italia. E sulle stesse posizioni si colloca il presidente del Senato Ignazio La Russa: «Stipendio dei ministri? Abbassiamo quello dei parlamentari, così li equipariamo davvero», dice ironicamente criticando l’opposizione che «si guarda bene dal proporre il taglio dei nostri stipendi».
Nello stesso testo riscritto dal governo resta comunque la parte che vieta a tutti i componenti del governo di ricevere «da parte di soggetti pubblici o privati» con sede fuori dall’Unione europea «contributi o altre utilità, erogate direttamente o indirettamente mediante interposizione di società o enti». I parlamentari e i governatori potranno invece ricevere da soggetti «extra Ue» compensi fino a 100 mila euro solo se autorizzati «dagli organi di appartenenza secondo le procedure stabilite dai propri ordinamenti». Senza autorizzazione, eventuali compensi percepiti dovranno essere assegnati allo Stato entro 30 giorni.
La norma vieterebbe ad esempio al senatore Matteo Renzi di continuare a ricevere compensi da fondi sovrani esteri, come quello dell’Arabia Saudita, per le sue attività di consulenza e conferenziere.
Non a caso a reagire ieri all’ennesima riscrittura in manovra è stato proprio il leader di Italia Viva: «È la prima norma sovietica del governo di destra», ha detto Renzi L’Aria che Tira su La7, aggiungendo: «Io continuerò a fare tutte le mie cose nel rispetto delle regole, le “vendettine” personali le lascio a Giorgia Meloni».