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Non addestrare più la Guardia costiera libica, ma continuare a darle assistenza per la manutenzione delle imbarcazioni con cui pattuglia le sue coste. Non un disimpegno, ma un cambio di prospettiva nella direzione di un coinvolgimento diretto dell’Unione europea. È la nuova rotta decisa dal governo sul fronte caldo del Nord Africa, un ripensamento delle regole d’ingaggio dell’Italia. La novità arriva con la delibera sulle missioni internazionali, approvata mercoledì in Consiglio dei ministri. Un documento di svolta, perché rafforza con decisione la nostra presenza sul fianco Est dell’Europa dopo l’aggressione russa all’Ucraina, ma dà anche un segnale, all’apparenza limitato ma politicamente significativo, sul fronte libico, con un progressivo congelamento dell’attività di addestramento del personale locale.
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Nessuno parla di disimpegno. Per il governo italiano resta cruciale la stabilizzazione di Tripoli. E in questi mesi non è stato abbassato il livello di attenzione e preoccupazione verso la Libia, perché l’instabilità è ancora forte e rischia di saldarsi alle crisi nel Maghreb e nel Sahel, tornando a infiammare l’intera area. Di più: proprio la guerra in Ucraina fa temere che tra le armi collaterali messe in campo da Putin nei confronti dell’Europa ci possa proprio essere la questione migranti. Mosca, che mantiene una forte area di influenza in Nord Africa, potrebbe infatti contribuire a far partire più di 30mila persone nel giro di poche settimane.
Detto questo, però, l’Italia ha deciso di rivedere le modalità della nostra presenza militare a supporto dei libici. Si sta discutendo, infatti, di come rimodulare la presenza a Misurata, dove attualmente gestiamo l’ospedale da campo nei pressi dell’aeroporto. Ma soprattutto è arrivata la decisione di rivedere il nostro impegno a supporto della Guardia costiera libica. La delibera sulle missioni, approvata in Cdm ma ancora non inviata al Parlamento, secondo quanto riferiscono diverse fonti riduce l’attività di addestramento del personale locale, fino a congelarla, ma non azzera la presenza perché mantiene un presidio per la manutenzione dei mezzi forniti dal nostro Paese.
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di
Antonella Sinopoli
La scelta, viene spiegato, tiene conto dell’evoluzione della situazione in Libia e soprattutto parte dalla necessità di coinvolgere l’Europa, attraverso la missione Irini. “Non si può affrontare una vicenda delicata come quella della Libia in una logica burocratica o, peggio ancora, pensando che si esaurisca tutto nel rapporto con le motovedette”, ragiona una fonte vicina al dossier. “La questione merita una risposta complessa e passa dai corridoi umanitari, dai flussi regolati e soprattutto da un intervento europeo”. Ecco perché la scelta del governo Draghi seppur tecnica sembra avere un significato politico anche in chiave interna, perché dà un segnale a chi da tempo contesta le modalità di azione delle autorità libiche sul fronte immigrazione.
Un anno fa una fronda ampia di parlamentari di Pd, M5S, Leu non partecipò al voto sulle missioni internazionali proprio in dissenso rispetto alla decisione di proseguire nella cooperazione e nell’addestramento della Guardia costiera libica. I dem chiesero un progressivo disimpegno italiano e una correzione al testo, con l’esplicito richiamo alla necessità di un coinvolgimento dell’Ue. Ora il governo prende una decisione che sembra in grado di sminare le divisioni della maggioranza, almeno sul fronte mediterraneo.
La delibera sulle missioni, che aumenta la spesa complessiva di 51,6 milioni portandola a 1,6 miliardi, tocca anche un altro tasto delicato per la maggioranza che sostiene Draghi. È quello del rafforzamento della nostra presenza militare sul fianco Est, nell’ambito della strategia Nato dopo l’aggressione russa all’Ucraina. “Rafforzare la sicurezza degli Alleati è una delle principali sfide politico-strategiche dei prossimi anni: l’Italia è fermamente impegnata a contribuire fattivamente alla sicurezza collettiva”, ha detto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini giovedì a Bruxelles, al termine del vertice Nato, citando proprio le nuove missioni in Bulgaria e Ungheria. A Sofia manderemo 750 militari, a Budapest altri 250. Si aggiungono ai 240 impegnati in Lettonia, 160 in Romania e 130 in Islanda. In Bulgaria l’Italia assumerà il comando del Battlegroup, mentre la Germania lo assumerà in Slovacchia e la Francia in Romania. È un impegno parallelo dei tre principali Paesi europei, a conferma della volontà di far fronte comune, testimoniata sul versante diplomatico dalla visita congiunta dei leader a Kiev.