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Non c’era esplosivo nel locale motore dell’elica di prua e nel garage sovrastante all’interno del Moby Prince, il traghetto della Nav.Ar.Ma andato a fuoco il 10 aprile 1991 di fronte al porto di Livorno dopo una collisione contro la petroliera Agip Abruzzo. Un disastro che causò la morte di 140 persone fra passeggeri ed equipaggio e il ferimento di una persona, il mozzo Alessio Bertrand, unico superstite della tragedia. Lo avrebbe stabilito l’analisi del colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, comandante della sezione chimica del Ris di Roma a cui la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince ha recentemente affidato l’incarico di fare chiarezza su questo punto specifico che ha generato, nel corso di questi anni, tutta una serie di congetture fino ad ipotizzare un traffico di armi ed esplosivi a bordo del traghetto Moby Prince lasciando intravedere, addirittura, l’ombra di Cosa Nostra.
Le conclusioni dell’esperto del Ris contraddicono la precedente perizia esplosivistica depositata nel febbraio 1992 e svolta dall’ex agente del Sismi Alessandro Massari, incaricato dalla Procura di Livorno di analizzare i resti del traghetto. Nella perizia di Massari, che il 21 dicembre scorso venne anche audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro della Moby confermando di aver diretto un laboratorio chimico dei Servizi segreti militari prima di passare alla Criminalpol, si parlava infatti di esplosivo, forse contenuto in una borsa, anche se non è stato possibile stabilire se esploso prima o dopo la sciagura.
La nuova perizia, firmata dal colonnello dei carabinieri del Ris Adolfo Gregori, che ha potuto utilizzare tecnologie innovative e strumentazioni più sofisticate ancora inesistenti all’epoca dell’analisi precedente, svela che sul traghetto non vi era alcun esplosivo e che quello trovato nel 1991 sui reperti analizzati dal perito Massari è frutto di “evidenti tracce di contaminazioni” esterne da cattiva conservazione. In definitiva i reperti – che non avevano inizialmente tracce di esplosivo – furono, poi, contaminati, secondo il Ris, portando erroneamente alla conclusione che vi fosse esplosivo sul traghetto.
Il materiale analizzato venne recuperato nel 1991 dai precedenti periti dal locale motore dell’elica di prua e dal garage sovrastante la Moby Prince. E comprendeva, fra l’altro, lembi di stoffa, frammenti di borse e valigie, pezzi di plastica e di legno, fili elettrici, bulloni e rondelle, lamierini, circuiti stampati e strati di vernici oltre a campionamenti recuperati da un camion che si trovava a bordo del traghetto. Tutto quel materiale, analizzato nei laboratori della polizia Scientifica della Criminalpol e dell’Enea dall’ex-007 militare su incarico della Procura di Livorno, restituì un quadro inquietante con la presenza, scrisse il perito Alessandro Massari, di vari tipi di esplosivi.
Il lavoro del colonnello del Ris dei carabinieri, Adolfo Gregori, sarà presentato il prossimo 15 settembre assieme alla Relazione finale dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince. L’analisi chimico-esplosivistica contenuta nel rapporto di una quarantina di pagine consegnato dal colonnello Gregori sia alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Moby Prince sia alla Procura di Firenze che sta procedendo ad una nuova indagine con la Direzione Distrettuale Antimafia, ha accertato la presenza di “esplosivo da contaminazione” non solo su alcuni reperti prelevati dal locale motore dell’elica di prua e dal garage sovrastante ma perfino – ed è questo il punto – all’esterno degli stessi scatoloni e delle buste contenenti il materiale, fatto che lascia immaginare una non corretta repertazione e conservazione del materiale, evidentemente maneggiato da chi, in quei frangenti, era contaminato da esplosivo.