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Alle 11.30 di domenica 19 giugno, sulla Salaria, antica via consolare di Roma, muore in un incidente di moto Massimo Bochicchio, il broker che, in meno di due lustri, ha movimentato tra i trecento e i quattrocento milioni di euro raccolti da una clientela vip che ruota intorno al sistema di relazioni e potere romano che ha nel circolo canottieri Aniene il suo simbolo e la sua cornucopia. Bochicchio se ne va tra le fiamme, quelle che bruciano il suo corpo e la moto che guida, in un ultimo drammatico twist di una vita mefistofelica. La sua.
Reso riconoscibile solo dal braccialetto elettronico che porta chi, come lui, è agli arresti domiciliari in attesa di un processo in cui una parte dei suoi creditori reclama non solo una punizione esemplare ma, soprattutto, il fiume di denaro che a Bochicchio ha affidato e che Bochicchio ha fatto sparire. Come è stato possibile far sparire tutto quel grano? E per farlo finire dove? Cosa ha reso possibile che lo schema Ponzi su cui Bochicchio aveva costruito la sua reggia degli specchi non abbia destato allarme tra i suoi creditori fino a quando non è stato troppo tardi? Per trovare delle risposte abbiamo rimesso in fila alcuni momenti chiave di questa storia, inciampando in almeno un altro cadavere e in qualcosa di più di una suggestione.
Prologo
Un giorno del 1998, due amici per caso
Un amico di un amico. In certi ambienti, comincia sempre così. Con un amico che ti porta da un altro amico il quale ha un altro amico”. Che scoprirai essere un fenomeno. Uno di quelli che “fidati, ti risolve ogni problema”. E così, si annullano i gradi di separazione tra chi i soldi li ha e chi li deve nascondere (al Fisco) o farli fruttare a tassi di interesse da Pinocchio nel campo dei miracoli.
Anche la nostra storia, dunque, comincia così. Un amico di un amico, nel 1998, presenta Gianfranco Lande a Massimo Bochicchio. Il primo ha 36 anni. Il secondo, 32. E fanno lo stesso lavoro. Sono dei broker. Promotori finanziari. Il che, detto in soldoni, significa frequentare i circoli romani che contano dove proporre investimenti in fondi esteri a fronte di guadagni tra il 10 e il 20 per cento del valore investito. Per giunta, in poco tempo e con la clausola dell'”assolutamente sicuro”.
Lande e Bochicchio orbitano nello stesso quadrante residenziale della capitale, quello a più alta liquidità dei residenti: i Parioli. Lande gestisce due società che sono destinate a diventare tristemente note alle cronache: la European Investments Management (Eim) e la Européenne de Gestion Privée (Egp), con sedi legali in diversi Stati europei e filiali a Roma. Una delle quali ai Parioli, appunto. Dove, una dozzina di anni dopo quel primo incontro tra i due, i militari della Guardia di Finanza andranno a cercare senza fortuna il tesoro del “Madoff dei Parioli”. Scoprendo che è sparito.
Bochicchio è un giovane rampante, dall’intelligenza vivace, che fa delle relazioni sociali il suo principale strumento di lavoro. “Risultava simpatico a tutti con quella sua parlantina sciolta”, racconta chi lo ha conosciuto. “Era concavo e convesso allo stesso tempo. Era abile nell’intuire che tipo eri e dunque sapeva dirti esattamente le cose che volevi sentirti dire. Aveva sempre una soluzione meravigliosa se avevi messo del denaro da parte e non avevi ancora deciso che farne”. Bochicchio, per altro, campano di origini (è nato a Capua) è anche un uomo fortunato. Perché a Roma, dove si è trasferito, ha conosciuto e legato con un uomo che si rivelerà uno straordinario passepartout nel complesso sistema di relazioni romane. Diciamo pure che ha conosciuto l’uomo che diventa il suo biglietto da visita ogni qualvolta si presenterà al Circolo Canottieri Aniene, l’esclusivo club lungo il Tevere che di Roma, del vero Potere romano, quello immarcescibile, è da sempre simbolo e cornucopia. L’uomo si chiama Giovanni Malagò, imprenditore, dirigente sportivo e, dal 2013 in avanti, presidente del Comitato olimpico nazionale italiano.
Bochicchio diventa socio di Lande
27 luglio 2003
L’incontro tra Bochicchio e Lande avviene dunque per caso, come accade per quegli incroci destinati a modificare radicalmente il corso delle vite. I due si annusano, si riconoscono appartenenti alla stessa specie e si piacciono. Il 27 luglio del 2003, Bochicchio entra dunque nella Trollaby Investments Limited, una società fondata nel 1997 a Londra da Lande e di cui Lande e il suo socio storico, Roberto Torregiani, sono stati direttori. La Trollaby è una società di servizi attiva fino al 2007, di cui oggi Lande – contattato da Repubblica – non ricorda più né la ragione sociale né lo scopo. Che, all’osso, è quello di gestione di capitali privati, trading sui derivati, creazione di strutture fiduciarie, mettendo a disposizione dei clienti delle società in cui poi, in qualità di fornitore, mantenere una carica. “La Trollaby era una di queste, da cassetto. Non mi pare di aver avuto a che fare con essa”, dice oggi Lande.
Spulciando nei registri delle camere di commercio estere spunta anche la Goldsearch Limited, attiva tra il novembre del 1994 e il settembre del 2000, dove tra gli amministratori, oltre a Lande figurano Bochicchio, il suo socio e amico di infanzia Sebastiano Zampa, ancora una volta Torregiani e la compagna di Lande, Raffaella Raspi. Una compagine che ritroviamo anche in una terza società, la Hasting Estate Limited, anch’essa costituita a Londra. Tre “cartiere”, insomma. Di cui, tuttavia, Gianfranco Lande ha perso la memoria. Fino al punto di sostenere di non aver mai avuto a che fare direttamente con Bochicchio e di averne perso le tracce molti anni fa.
Gli anni londinesi e l'”incidente” alla Hsbc
Ottobre 2006 – aprile 2010
Tra il 2003 e il 2004, le quotazioni di Bochicchio decollano. Raccoglie i primi soldi veri e li fa girare. E i clienti si fidano anche grazie ai buoni auspici di Malagò. “Questo è un fenomeno”, dice di lui il futuro presidente del Coni. Il broker maneggia milioni di euro, spesso provviste in nero, che investe usando due società-vettori londinesi: la Kidman Asset Management e la Tiber Capital. Le cose, insomma, funzionano da Dio e questo convince Bochicchio a trasferirsi nella sola piazza finanziaria che conti in quei primi anni 2000: Londra. Dove, nell’ottobre 2006, diventa – come si legge sul curriculum che pubblica sul sito della Tiber – direttore della Global Banking and Markets Division di Hsbc, uno dei più grandi gruppi bancari al mondo. Anche qui, la considerazione che riscuote deve essere notevole perché, tra il gennaio 2008 e l’aprile del 2010, assume il ruolo di co-direttore e advisor nella Global Investment Banking Division in Italia. Entra così in contatto con Marzio Perrelli, banchiere e dirigente d’azienda nonché Chief Executive Officer per Hsbc in Italia dal 2008 al 2018.
Il presidente del Coni, Giovanni Malagò Della partita è anche Giovanni Malagò. “Sono entrato in Hsbc – spiegherà lui molti anni dopo – perché un giorno Bochicchio dice che l’Hsbc cercava un junior advisor, perché il senior era Vito Gamberale, e volevano una persona con un profilo diverso. Perché non mandi il tuo curriculum a Londa?, mi dice. Io nella vita faccio l’imprenditore non ho bisogno di un cazzo… presidente del Coni, membro del Cio… gliel’ho mandato (…), ho fatto un colloquio e son diventato per due anni junior advisor e per cinque l’unico advisor dell’Hsbc per l’Italia”.
Bochicchio percepisce redditi da Hsbc fino al 12 aprile del 2010. Quando succede qualcosa che Malagò, intercettato al telefono con l’ex ct della nazionale Antonio Conte, racconterà così. “Questo è uscito male dalla Hsbc, sei anni fa, sette anni fa è uscito male… cioè la Hsbc al cento per cento non ne voleva più sapere”.
“Dalla Hsbc ho avuto pure la buonuscita”
Tribunale di Roma, udienza del 20 luglio 2021
Ma vediamo come racconterà questo passaggio londinese l’interessato una volta arrestato ed estradato in Italia.
Pubblico ministero: “Posso chiederle come si interrompe il suo rapporto con la Hsbc?”
Bochicchio: “Mi fa un regalo con questa domanda, perché ho letto sul giornale che io ero stato cacciato. Lei consideri, e sono dati che potete chiedere a Hsbc, che ci sono due modi per lasciare una banca: bad leaver o good leaver, ossia una persona che va via in ottimi rapporti. Io ho fatto un accordo di uscita con Hsbc come good leaver alla fine del 2010. Sono stato uno dei pochissimi a cui è stato concesso di incassare le azioni con cui ero pagato in bonus nei tre anni successivi all’uscita dalla banca”.
Il testimone chiave
“Bochicchio? Dopo la Hsbc si è messo a lavorare con Lande”
Procura di Milano, 2020
Fabio Caleca è tante cose: manager finanziario specializzato nella creazione di fondi di investimento, consulente nel settore degli hedge funds, consigliere indipendente di una ventina di fondi e consulente di un pool di clienti di Bochicchio che hanno visto sparire i soldi. Soprattutto, agli occhi dei pm di Milano è persona che conosce molto bene il modus operandi del broker nato a Capua. Ha riferito della sua radiazione dall’albo della Consob nel 1998-1999 “perché produceva documentazione falsa a favore dei clienti di cui investiva i risparmi”. In effetti, il racconto di Caleca è confermato dai documenti della Consob. Ma la parte del suo resoconto che più interessa agli inquirenti è un’altra. Questa. “Da dipendente della Hsbc Bochicchio ha iniziato a spostare la clientela acquisita per la banca verso la Kidman Asset Management con sede nelle British Virgin Island. Al fine di invogliare i nuovi clienti, mostrava un organigramma fittizio da cui emergeva che la Kidman fosse controllata dalla Hsbc e convocava i clienti per le firme dei contratti direttamente negli uffici della banca. Hsbc licenziò nel 2010 Bochicchio per non meglio precisate ragioni e lui allora si è dedicato a incrementare i propri clienti tramite la Kidman e il noto Gianfranco Lande”.
Circolo Canottieri. Roma
“Hai il miglior dritto di tutta Roma”
Estate 2011, Circolo Canottieri Aniene, Roma
Ora, se volessimo fissare un punto, nel tempo e nello spazio, dove la parabola di Bochicchio si impenna verso l’alto, ecco, dicono di metterlo qui: il tavolo del circolo più blasonato di una certa Roma, l’Aniene, Jovanotti che canta “Il più grande spettacolo dopo il big bang”, le magliette sudate di una partita di tennis appena terminata, un giovane consulente finanziario che fa la spola tra Roma, Milano e Londra e di cui si dice un gran bene.
“Hai il miglior dritto di tutta la Capitale”.
“Sei un paracu… Lo hai detto anche giovedì scorso anche al professore!”.
“Perché non avevo ancora visto il tuo…”.
Sembra sempre sincero Massimo Bochicchio. E forse, in parte, lo è. Il suo sorriso e l’affabilità funzionavano anche di più della carta intestata Hsbc, falsa si stabilirà poi, con la quale promuove il fondo Kidman che, magicamente, produce il 10 per cento annuo di cedola netta. “Manco le armi e la droga…”, osserverà, più tardi, il suo grande amico Malagò.
A Bochicchio credono tutti. Gli ex allenatori della nazionale Antonio Conte e Marcello Lippi. Calciatori come Stephan El Shaarawy e Patrice Evra. L’ambasciatore in Gran Bretagna, Raffaele Trombetta. E centinaia di professionisti, conosciuti nei circoli, nelle cene, con il passaparola, che hanno deciso di affidargli “il loro tallone d’Achille”, come lo chiamava con sarcasmo Bochicchio: milioni di euro guadagnati in nero che andavano ripuliti per poter essere reimmessi sul mercato.
A Bochicchio credono tutti, anche perché porta risultati. Chi ha investito con lui racconta di aver ricevuto, ogni sei mesi, un file pdf con il resoconto dei guadagni in titoli azionari e fondi immobiliari.
“La domanda: come fa a farci guadagnare tutti questi soldi? Se la sono fatta in tanti”, spiega uno degli investigatori che per tre anni si occuperà di inseguire Bochicchio e le sue fortune. “Come era successo nel caso di Lande, quando si ha l’illusione di guadagnare, non si cerca la risposta giusta, ci si accontenta di quella migliore”. Bochicchio riusciva a far lievitare i capitali dei suoi clienti grazie a un “algoritmo proprietario”, una funzione automatica che vende e compra in automatico azioni, seguendo i ribassi e rialzi del mercato. “Senza alcun rischio”, dice Bochicchio. “Gli scambi li facciamo in orario notturno, a borse chiuse”. Un’evidente panzana, secondo la Finanza. Ma tant’è.
“L’imputato si alzi”
Aula della IX sezione del Tribunale di Roma, 28 giugno 2012
All’inizio dell’estate del 2012, Gianfranco Lande è un uomo provato. Barba lunghissima, occhi spiritati, dimagrito: gli ultimi due anni sono stati un inferno. Da quando una delle sue clienti, la signora Paola Vivian, il 9 ottobre 2009 è entrata nella caserma della Guardia di Finanza per presentare un esposto contro di lui, il suo mondo dorato è collassato. La crisi delle banche e dei subprime del 2008 ha spaventato la gente che gli aveva affidato i soldi, si sono messi tutti, e tutti insieme, a chiedere di rientrare degli investimenti. Il Sistema è andato così rapidamente a gambe all’aria.
Gianfranco Lande in Tribunale nel 2011. Roma
Quando entra la Corte che sta celebrando il suo processo, Lande si alza in piedi nell’aula della IX sezione penale dibattimentale del Tribunale di Roma. È solo. Gli altri imputati (Roberto Torregiani, Gian Piero Castellacci de Villanova, Raffaella Raspi) hanno scelto il rito abbreviato. L’accusa è di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di abusiva attività finanziaria, di truffa e altri reati contro il patrimonio. Trecento milioni di euro, euro in più euro in meno.
Tra i clienti che non rischiano di non rivedere più i propri risparmi ci sono Sabina Guzzanti, David Riondino, Francesco De Cecco, i fratelli Vanzina, Samantha De Grenet, i calciatori Stefano Desideri e Ruggiero Rizzitelli.
Gli avvocati difensori di Lande, Salvatore Sciullo e Susanna Carraro, hanno inserito Bochicchio e il suo socio Zampa nella lista dei testimoni in quota “consulenti di Lande”, ma non c’è stato modo di trovare i due. Quindi, per difetto di notifica non sono stati chiamati in aula. La Corte (Carmelita Russo, Anna Maria Gavoni e Roberto Ranazzi) condanna Gianfranco Lande, ribattezzato il Madoff dei Parioli, a nove anni di carcere.
Il re dell’algoritmo
Gennaio 2012 – estate 2019, Londra-Milano-Roma
Da quell’estate il mito di Massimo Bochicchio, l’illusionista del denaro pesante, il broker in grado di fare scomparire, riapparire (e poi scomparire ancora) i capitali dei suoi clienti, si gonfia come una mongolfiera. La clientela, come impazzita, si moltiplica, affidandogli centinaia di milioni di euro, che spariscono in mille rivoli contabili al punto da renderne difficile una quantificazione esatta.
“Tra i quattrocento e i seicento milioni”, scriverà la Finanza in una delle informative depositate agli atti delle inchieste della procura di Roma e di Milano. “Ho fatto un investimento da un billion e otto”, confida Bochicchio in una conversazione telefonica intercettata. Un miliardo e ottocento milioni di euro.
I clienti, per altro, non si preoccupano troppo di dove siano esattamente i loro soldi. Almeno fintanto che le cedole arrivano. In quattro anni – lo schema dell’investimento proposto dal broker è sempre questo – sarebbe rientrato tutto il capitale. E le cose, effettivamente, così vanno per sei, sette anni. C’è chi incassa regolarmente le cedole. Chi invece le lascia a Bochicchio per rientrare poi dell’intera somma, capitale più interessi, solo alla fine del contratto di 4 anni (“Gli interessi li ha staccati praticamente ogni anno, ma noi non li abbiamo mai presi perché prendevamo tutto all’ultimo”, dice Daniele Conte, fratello dell’ex ct Antonio, a Giovanni Malagò). C’è dunque chi riesce a recuperare il capitale. E chi invece, scaduti i quattro anni, si riaffida a Bochicchio. “Con i soldi dei nuovi investitori si pagano cedole e capitale ai vecchi” racconta sempre una fonte della Guardia di Finanza. Uno schema antico che porta il nome dell’immigrato italiano che lo brevettò negli anni venti del ‘900 negli Stati Uniti (partito da 2 dollari arrivò a raccoglierne 15 milioni). “Uno schema che ha però un finale già scritto: a un certo punto tutto, inevitabilmente, cade”.
Ebbene, in questa storia, quel “punto di rottura” va collocato nell’estate del 2019 quando alcuni amici di Bochicchio si accorgono che qualcosa non torna e cominciano a bisbigliarlo ai tavoli dei soliti circoli. “Avevo un’urgenza, ho chiesto a Massimo il rientro del capitale e mi sta raccontando un sacco di fregnacce”. “Anche a me”. “Anche a me”. “Anche a me…”. È l’inizio della fine.
Un decesso con pochi dettagli
Londra, 29 ottobre 2019
Luca De Lucia è uno dei soci di Bochicchio. Di più, è anche suo cugino, perché figlio di Giuseppina Ingicco, sorella di Anna Ingicco, madre del broker. De Lucia ha 42 anni ed è in salute. E tuttavia, il 29 ottobre del 2019, mentre a Roma comincia a montare la preoccupazione per il mancato rientro dei capitali affidati a Bochicchio, lo trovano morto nell’appartamento al civico 107 dell’elegante Wymering Mansion, a Londra.
Per quasi otto anni, De Lucia è stato nell’organigramma della Tiber Capital, ha gestito i contatti con Gianluigi Torzi e Nicola Squillace, il broker e il legale coinvolti nella vendita scandalo al Vaticano dell’immobile di Sloane Avenue, con i quali aveva in mente alcuni possibili investimenti. Ufficialmente, De Lucia muore per cause naturali. La polizia britannica non svolge indagini approfondite. Il caso viene chiuso e rubricato come “malore”.
La caccia al tesoro. Picasso e Warhol
Febbraio 2020, Londra
La fine si mostra con una certa drammaticità nelle stesse settimane in cui il mondo scopre un virus chiamato Covid. La finanziaria Kidman, la principale cassaforte attorno a cui il broker ha costruito la sua intera architettura societaria, scaduto un investimento quadriennale per una dozzina di risparmiatori, non è in grado di restituire il capitale iniziale. Non sono briciole, ma 60 milioni di euro. Gli investitori cominciano a tempestare Bochicchio di telefonate. “Tranquilli, è un momento difficile. Il Covid. Ora risolvo”. Tra le doti del broker, ce n’è una più spiccata delle altre: saper mentire. “Mi ha detto che era su un taxi a Londra. L’ho appena visto a Piazza Euclide”, metterà a verbale uno dei truffati. “Sto facendo un lavoro della madonna per chiudere tutto. Abbiate la pazienza di darmi qualche giorno – chiede a Rodolfo Errani, uno dei suoi soci – Anche perché devo fare 20 anni di galera se non risolvo. Stiamo disinvestendo tutto”, giura. Ma mente.
I soldi non ci sono più. O se ci sono non sono nella sua immediata disponibilità. Scrive la Guardia di Finanza. “A partire dal 2011, attraverso Kidman e Tiber, Bochicchio raccoglie cospicui capitali, veicolandoli in investimenti realizzati in Paesi a ridotta tassazione, come Singapore, Hong Kong e Dubai. In molti di questi paesi si poteva appoggiare a persone potenti, legate al governo”, circostanza grazie alla quale “poteva investire fondi neri e poi rientrarne in possesso dopo averne fatto perdere le tracce”.
Bochicchio e la moglie Arianna Iacomelli
Il punto è che a essere investiti è solo una parte dei capitali raccolti. “Gran parte delle somme investite dai risparmiatori – scrive ancora la Finanza – non sono state impiegate nella sottoscrizione di strumenti finanziari, ma dirottate dai conti della Kam (Kidman Asset Management Ltd) a quelli personali di Sebastiano Zampa (un altro dei suoi soci) e di Bochicchio. Poi da quest’ ultimo movimentate a favore della moglie e del fratello Tommaso e impiegate per spese personali”. Detto altrimenti, quel fiume di soldi Bochicchio se li è spesi. Come?
Dal 7 gennaio 2014 al 20 ottobre 2020, “l’estratto conto delle carte di credito registra un totale di spese per 1.715.796 euro con causali varie”. Settimane da sogno a Borgo Egnazia, il resort dei divi di Hollywood in Puglia. Spese da Chanel. Case a Roma e Cortina. Un vaso di Picasso. Quadri di Warhol e Schifano.
La fine di un re
Agosto 2020, Londra
L’epilogo è scritto. Gli amici di Londra, che vedono evaporati i loro capitali, si rivolgono a un giudice. Tra di loro c’è anche Antonio Conte perché Daniele, suo fratello, era finito a lavorare con Bochicchio. L’allenatore è affranto: “Non mi sono accorto di un cazzo”. Londra ordina il sequestro dei soldi. Ma i soldi non ci sono più.
La procura di Milano, contemporaneamente, avvia un’indagine potenzialmente esplosiva. Una fonte racconta agli inquirenti che Bochicchio è l’uomo incaricato di gestire, all’estero, il frutto di una tangente pagata per pilotare l’aggiudicazione dei diritti televisivi della serie A. La Procura di Milano trova i primi riscontri e iscrive Bochicchio e il gotha della Finanza italiana nel registro degli indagati per corruzione – Malagò compreso – cominciando una serie di accertamenti, comprese migliaia di intercettazioni telefoniche a strascico.
Bochicchio ormai è finito.
Antonio Conte
“Dì a Conte: ho parlato con Massimo, è tutto ok”, si sfogherà nella sua ultima chiamata all’amico Malagò prima di fuggire all’estero.
“Antonio – provava a rassicurare Conte il presidente del Coni – posso dirti una cosa? Magari dico una stupidaggine, penso che i soldi lui li abbia, il problema è che si è sparsa la voce… tutti stanno a rientro e quindi lui contemporaneamente non può sistema’ tutti (…) Questo lo conosco da quarant’anni, è una delle presone più simpatiche e brillanti che abbia conosciuto in vita mia (…), secondo me se non sistema tutto da un momento all’altro l’arrestano”.
Aveva ragione Malagò. Mentre Milano archiviava l’inchiesta (per tutti gli indagati) sulla presunta corruzione non trovando elementi sufficienti per sostenere il processo, da Roma ordinavano l’arresto di Massimo Bochicchio. Truffa più una sfilza di altri reati.
Game over.
Il re è caduto.
Latitanza a cinque stelle
Marzo 2021, Dubai
Quando le cadute sono rovinose trascinano con sé tutto ciò che è stato e tutto ciò che incontrano sulla propria strada. Le partite di tennis, le cene a Londra, le barche a Ponza sono un ricordo che evapora con la stessa velocità con cui sono evaporati i capitali che le hanno rese possibili.
La nuova agenda del broker è governata da altre priorità: la signora Bochicchio vive nella paura che un altro creditore si parcheggi per ore sotto casa, come spesso è accaduto. Il fratello continua a ricevere le telefonate di soci che chiedono che fine abbia fatto Massimo. C’è anche chi ha bussato alla porta di “amici” non raccomandabili. Che sono poi quelli che non possono denunciare di aver perso quello che, ufficialmente, non possiedono, non hanno mai posseduto e non potrebbero possedere. Insomma, quelli del “tallone di Achille”. Che, per altro, sono quelli che hanno perso tantissimo.
E poi c’è lui, il Madoff dell’Aniene, che è a Dubai, lontano da chi lo insegue: sbirri e creditori inferociti, vecchi amici e nuovi nemici. Dubai, per Bochicchio, è una seconda casa. Per questo ha scelto di rifugiarsi lì. C’è stato più volte, anche quando diceva di andare negli Emirati per incontrare “persone potenti”, “legate al governo”, gente che ha “un grosso potere in quelle zone” e potrebbe risolvere il pasticcio in cui il broker si è cacciato. Ma nella primavera del 2021 nessuno crede ancora alle favole di Bochicchio. E, il 31 marzo, Repubblica ottiene le conversazioni che i clienti del latitante si scambiano nei gruppi WhatsApp. Quelle chat lo collocano a Dubai quattro mesi prima del suo arresto, quando ormai l’Interpol gli sta alle costole e la Procura di Roma lo accusa di riciclaggio internazionale. “Guardatelo! È a Dubai alla faccia nostra! Ma prima o poi lo pizzicano, avoja se lo pizzicano…”, scrivono le vittime. Circola anche una foto, con Bochicchio abbronzato e sorridente in compagnia di due uomini: “Saranno le sue guardie del corpo”, ipotizzano nella chat, mentre gli inquirenti che hanno seguito i suoi spostamenti anche a Madrid certificano che “i movimenti delle sue carte di credito attestano che si trova all’estero, dove mantiene un elevato tenore di vita, contando anche sull’aiuto che proviene dalla moglie”.
Il soggiorno dorato, in ogni caso, dura poco. Perché Bochicchio comunque insegue gli affari, anche a Oriente, sempre in paesi in cui si sente al sicuro. Dopo gli Emirati, va infatti ad Hong Kong, quindi raggiunge Singapore e di qui si sposta in Indonesia, dove la sua corsa finisce con le manette ai polsi.
L’arresto a Giacarta
Fine corsa
9 Luglio 2021, Giacarta
Nell’estate del 2021 la traiettoria di Massimo Bochicchio ricorda quella di una mosca impazzita. I suoi spostamenti hanno modalità e cadenza frenetiche. Fa e disfa valige ad horas, prende aerei come fossero taxi per brevi stop-over durante i quali incontra di persona interlocutori di cui solo lui conosce l’importanza.
Anche chi gli è alle calcagna e gli dà la caccia si muove in fretta. In Italia vengono sequestrati i suoi beni, mentre fuori dai confini si seguono le tracce che lascia la sua carta di credito. Viene immesso nel sistema Interpol un mandato di cattura internazionale che lo sfiora un paio di volte tra Hong Kong e Singapore. E non caso, in luglio il broker comincia a sentire di aver esaurito il suo tempo. Il denaro, almeno i contanti, sta finendo. E così l’ottavo giorno di quel mese, Bochicchio prepara per l’ennesima volta la valigia. È a Giacarta, in un tiepido mercoledì estivo, quando esce dall’albergo e si dirige verso l’aeroporto. Per quella che, più di un arresto, sembra una resa. “Io non sono stato arrestato, non sono stato portato in cella, non sono stato oggetto di estradizione, perché mi hanno espulso per permettermi di tornare subito dove volevo tornare, mi hanno tenuto in una stanza della caserma della polizia metropolitana insieme ai poliziotti che lavoravano, mi hanno fatto dormire là, non sono mai stato arrestato… io sono andato all’aeroporto per tornare”, dirà quando le foto che lo immortalano con le manette ai polsi rasserenano momentaneamente i creditori.
Arrivato in Italia sostiene di essersi consegnato volontariamente, di essere pronto a restituire ogni centesimo, di essere una vittima delle circostanze del mercato finanziario, anche del “casino del Covid”. Giustificazioni che cerca di esporre dodici giorni dopo l’arresto, il 20 luglio, quando è in compagnia del suo avvocato, Gianluca Tognozzi. I due siedono davanti al pm Alessandro Di Taranto e al giudice Corrado Cappiello. È il giorno dell’interrogatorio di garanzia e Bochicchio ripercorre la sua scalata, tratteggia l’architettura delle sue società, insiste nel dire che i soldi che ha gestito sono puliti e spiega al giudice che anche gli arresti domiciliari “sarebbero una mostruosità”. “Non mi tenete ai domiciliari perché non c’è nessun motivo, io voglio solo fare il mio mestiere, restituire i soldi a tutti, io non ho altro obiettivo nella vita”, dice.
Ma la situazione, già complicata, si fa ancora più complicata qualche mese dopo, a novembre, quando la procura lo arresta una seconda volta. Con una nuova accusa: “abusiva attività finanziaria”. “L’investimento viene gestito in Inghilterra, non c’è bisogno di alcuna autorizzazione”, si difende il broker che il 29 novembre, durante il suo secondo interrogatorio, ribadisce la sua promessa: “Se volevo fare qualcosa rimanevo a Dubai, non è questo il mio obiettivo. Non ho mai voluto esimermi dalle mie responsabilità, io voglio fare in modo che i denuncianti abbiano il loro rimborso dell’investimento, come voglio che l’abbiano io”. Con la procura viene concordato una sorta di piano di rientro. Ma i tempi si dilatano, le speranze dei creditori si affievoliscono, per poi evaporare definitivamente la mattina dello scorso 19 giugno.
Uno strano incidente
19 giugno 2022, Roma
Il 19 giugno, una domenica, sono da poco trascorse le undici del mattino quando Bochicchio è a bordo della sua moto Bmw 750. Il diabete, di cui soffre da tempo, non gli dà tregua. E il giudice gli ha permesso di uscire dagli arresti domiciliari, dove si trova, un paio d’ore al giorno per fare sport o andare in ospedale. Anche se quella domenica mattina il broker ha altro per la testa.
Di lì a 24 ore, lunedì 20, lo attende l’udienza in cui il processo nei suoi confronti entrerà nel vivo. Bochicchio esce di casa senza dire a nessuno quale sia la sua destinazione. Sale in moto e percorre la via Salaria. Le telecamere di sorveglianza sparse per Roma non riescono a monitorare ogni suo spostamento. Non si sa bene dunque cosa abbia fatto, chi abbia incontrato e perché dopo essere uscito di casa. Quello che è certo è che alle 11,30 Bochicchio sta guidando lungo la via Salaria in direzione Roma, con il Grande Raccordo Anulare alle spalle. Verosimilmente sta rientrando verso casa, in piazza Novella, che in quel momento dista appena tre chilometri e trecento metri.
Indossa un casco integrale e guida a una velocità moderata, in corsia di sorpasso, quando, all’improvviso, sembra piegarsi su se stesso. La moto sbanda a destra, invade la corsia adiacente e si schianta contro un muro, al civico 875 della strada statale. “La Bmw è scoppiata subito dopo l’impatto”, dirà un testimone, mentre ogni genere di teoria si fa immediatamente strada nelle chat di chi frequenta i circoli più esclusivi della Capitale. Alimentate dai tanti punti oscuri che hanno costellato la sua vita. Né aiuta il corpo carbonizzato, irriconoscibile anche dal fratello accorso sul luogo dell’incidente per l’identificazione. Solo un annerito braccialetto elettronico e la targa semi carbonizzata della moto indicano che la vittima sia proprio Bochicchio.
“Dicono sia morto”
20 giugno 2022, Roma
La mattina di lunedì 20 giugno, neanche il giudice che apre la terza udienza del processo al broker è certo dell’identità di quel corpo carbonizzato raccolto sulla Salaria. “Abbiamo avuto notizia da fonti aperte che l’imputato Massimo Bochicchio è rimasto vittima di un incidente. Ma ancora non è documentato giuridicamente, non c’è un certificato di morte”, dice il tribunale. “Formalmente non c’è la certezza che quel corpo sia di Massimo Bochicchio, manca il certificato di morte e il fratello dice che è irriconoscibile”, fa eco l’avvocato di Bochicchio, Gianluca Tognozzi. “La famiglia mi ha contattato ieri – continua il legale – sono stati informati dalla polizia locale che gli ha comunicato che Massimo Bochicchio è rimasto vittima di un incidente stradale”.
La corte ci pensa un po’, poi spiega: “Avremmo dovuto sentire due testimoni di polizia giudiziaria . È una situazione di forte imbarazzo ma non so se è opportuno. Forse è il caso di fare un rinvio”, dice il giudice, mentre a pochi metri di distanza, al terzo piano della palazzina A della cittadella di piazzale Clodio, il pm Andrea Cusani chiede ai medici di fare un’autopsia sul corpo della vittima e anche l’esame del Dna. Le dinamiche dell’incidente restano un mistero, come la vita e la morte di Bochicchio. L’udienza viene rinviata, mentre le ultime speranze dei creditori evaporano come i soldi investiti e spariti nel nulla.
Il resort “Be Tulum Beach & Spa” di Tulum
Un possibile epilogo
Primo settembre 2020, in Messico l’ultima coincidenza di due destini incrociati
Con la sua morte, Bochicchio ha portato con sé il suo segreto: dove sia finito il tesoro sottratto ai suoi creditori. Non esistono allo stato risposte certe. Ma qualcosa c’è. Qualcosa che è forse più di una suggestione.
Nell’estate del 2020, Bochicchio non risponde al telefono a nessuno, o quasi. Nel quasi ci sono la moglie Arianna Iacomelli e il vecchio amico Giovanni Malagò. Il broker è sparito, non dice dove si trova, ha spento i telefoni. E tuttavia, il primo settembre, gli investigatori della Guardia di Finanza captano un sms che gli arriva su uno dei numeri italiani. È un messaggio di allerta frode. “Hai appena utilizzato la carta che termina in 84008 per 138.426 pesos (circa 5.345 euro) al resort Be Tulum. Rispondi 1 se Sì o 2 se No”. È la traccia che posiziona Bochicchio presso il Be Tulum Beach & Spa Resort, una struttura di lusso al km 10 della carretera Tulum Boca Paila, in Messico. Da quel momento in poi gli investigatori che intercettano le utenze del broker si ammutoliscono, il motivo di quel viaggio improvviso rimarrà per sempre un mistero.
C’è un altro broker che a cadenza regolare, diciamo ogni 4-6 mesi, andava in Messico a fare, così raccontava agli amici, pesca sportiva. Si chiama Gianfranco Lande. Dopo la condanna è andato a vivere a Londra. I suoi clienti truffati sospettano ancora oggi che i soldi spariti, il tesoro del Madoff dei Parioli, siano nascosti da qualche parte. Giù in Messico. Come l’oro dei Maya.