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ROMA – Ore 9, attorno a Mario Draghi tira una brutta aria. Pare che i grillini vogliano strappare. I vertici del Pd sono in allerta. Ore 12, Giuseppe Conte entra a Palazzo Chigi. Neanche siede nello studio del premier che mette in chiaro: “La linea del Consiglio nazionale è di restare nel governo, Presidente. Però…”. Pausa. “Però il Tesoro ci vive con antipatia”. “Però Di Maio mi attacca e Palazzo Chigi lascia fare”. “Però sono sparite le cabine di regia e devono riprendere, altrimenti il Movimento non ha ministri che prendono parte a veri processi decisionali. Cingolani è un tecnico, non si confronta con noi. Fino a poche ore prima non sappiamo neanche l’orario del Consiglio dei ministri…”.
Conte per ora non strappa: “Risposte da Draghi entro luglio”
di
Matteo Pucciarelli
,
Concetto Vecchio
La tregua fragile
Un attimo di silenzio. Di spaesamento. Non si stava discutendo di una possibile crisi? Draghi capisce che il temuto ultimatum si è dissolto. Presentare nove punti significa indicare una prospettiva politica. Restare in maggioranza. L’ex banchiere tende la mano: “C’è materia per trovare un punto d’intesa, per lavorare nella stessa direzione”. Se è l’avvocato a disarmare e si intravede una (fragile) tregua, è ovvio assecondare. Altro discorso è sentirsi davvero al riparo da nuovi rilanci dell’avvocato. Che a sera giura di non aver garantito alcuna permanenza nell’esecutivo. E lascia incerto il voto di fiducia al Senato.
Un passo indietro, a martedì pomeriggio. Per la seconda volta in una settimana, Conte minaccia sfaceli mentre il premier è in missione all’estero. Prima Madrid, adesso Ankara: sta diventando un format. Anche la Lega di Salvini mostra segnali di nervosismo. A Palazzo Chigi si lavora per sedare, sopire, evitare una rottura definitiva. Seguendo lo spirito di unità nazionale che suggerisce il Colle, Draghi fa sapere ai cinquestelle che il terreno sociale è perfetto per ridare centralità al Movimento. Per bilanciare, pronuncia anche una frase poco felice sui migranti, che piace al Carroccio e irrita il Pd.
Conte: “Al ministero dell’Economia non ci ascoltano”
In questo contesto frizzante Draghi riceve Conte. L’avvocato si mostra dialogante. È quello che i suoi ministri – i falchi, quantomeno – lamentano da giorni: non ha voglia di strappare nel mezzo di una crisi internazionale, sente il peso di una scelta radicale. È esattamente il dubbio di Draghi: se non vuole rompere, quale punto di caduta ha in mente? “Presidente, vogliamo discontinuità. C’è fastidio, quasi antipatia quando avanziamo istanze. Al ministero dell’Economia non ci ascoltano”.
Draghi rassicura
In realtà, è successo che la viceministra Laura Castelli ha lasciato il Movimento per seguire Di Maio, dunque i grillini non sono più rappresentati. Conte non ne chiede esplicitamente la testa, però manifesta disagio. Draghi ascolta, rassicura: “Mi faccio carico io di questo problema”. Promette che parlerà con Daniele Franco (anche perché non ci sarà alcun rimpasto e Castelli resterà al suo posto), assicura che il ministro è a disposizione. Ma questa storia nasconde in realtà una ferita che brucia: la scissione di Di Maio.
Draghi osserva Conte mentre si lamenta del ministro degli Esteri. “Mi attacca, dice che non sono atlantista, sostiene cose che non esistono. Ha fatto la scissione e Palazzo Chigi non ha detto nulla, ha lasciato fare”. Anche in questo Draghi rassicura, con parole che ripete da giorni: “Non possiamo pensare di governare senza una forza così importante come il Movimento”. È un po’ come se respirasse la difficoltà del leader e non volesse – almeno per oggi, di solito non va così – lasciarlo nell’angolo. E quindi il premier non sottolinea che molte delle istanze dei nove punti sono dossier già aperti sul tavolo della Presidenza del Consiglio. Se può servire a far dire a Conte che il Movimento è tornato centrale, nessuno obietterà.
Conte insiste su reddito di cittadinanza e superbonus
Va così per quasi tutti i capitoli sociali affrontati. Trentacinque minuti di lunghissima esposizione di Conte e brevissimi cenni di replica del capo dell’esecutivo. “Vogliamo il taglio del cuneo fiscale, Presidente”. E Draghi: “Benissimo, ci stiamo lavorando, abbiamo convocato le parti sociali anche per questo”. “Il reddito di cittadinanza è sotto attacco, Presidente”. “Non vedo come posso intervenire su questo aspetto…”. “Puoi difenderlo, Presidente!”. “Ma lo faccio da quando sono al governo…”. Lo stesso vale sul nodo dei salari. E il superbonus? “Ha molte cose da migliorare – ammette Conte – ma non possiamo lasciare le imprese sull’orlo del fallimento”. “Non è semplice, ma si può trovare una soluzione”, è la replica. Seguendo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, ad esempio. Conte evita pure di mettere nero su bianco la richiesta di proroga della misura per l’edilizia. E l’esecutivo si prepara a valutare una misura ad hoc. Su un solo punto Draghi stronca le aspirazioni grilline: la richiesta di una rottamazione fiscale. “Non farò condoni. E in ogni caso, la priorità è la riforma fiscale”.
La questione delle armi all’Ucraina scompare dal tavolo, come d’incanto, al netto di un brevissimo cenno sul “pacifismo”. L’incidente degli sms di Beppe Grillo spunta solo per ribadire le rispettive posizioni: “Mai dichiarato quello che mi attribuiscono”, nega Draghi. “È stata una ferita”.
Il decreto Aiuti
Resta la nebbia sul decreto aiuti, che contiene il contestato inceneritore di Roma: fiducia alla Camera, via dall’Aula per il voto finale. Al Senato non si può fare. I falchi tornano ad assediare il leader. “Draghi – cambia rotta il 5S – deve darci delle ragioni per restare”. La tregua torna in bilico. Fortuna che per dieci giorni il premier non ha in programma trasferte all’estero.