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Palermo, nel regno di Ignazio Pullarà: il boss in permesso premio fra i misteri di via Belmonte Chiavelli e la grotta di fratel Biagio Conte

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Per arrivare a casa del boss ergastolano Ignazio Pullarà, in permesso premio per 15 giorni a Palermo, bisogna percorrerla tutta via Belmonte Chiavelli, il budello che dallo svincolo di Bonagia arriva fino ai piedi della montagna. «Al civico 270 abita l’intero nucleo familiare», è scritto nel provvedimento dei pm di Palermo che qualche anno fa portò in carcere il figlio del boss, Santi, l’erede designato a curare gli interessi di famiglia. Google maps informa che la palazzina dei Pullarà è all’interno di un residence, accanto alla chiesetta della Congregazione del bell’amore. Non resta che mettersi in cammino verso Santa Maria di Gesù, in questa storia del permesso premio a un ergastolano c’è qualcosa che non torna. Il giudice di Cuneo che ha firmato il provvedimento non ha chiesto alcun parere alla procura di Palermo. E nessuno ha informato i magistrati che in città stava arrivando un pezzo da novanta di Cosa nostra. Sono stati gli investigatori della squadra mobile diretta da Marco Basile a scoprirlo casualmente. E subito è partita la comunicazione in procura. Sembra che Ignazio Pullarà abbia avuto anche altri permessi nei mesi scorsi per tornare nella sua Palermo.

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Viene un nodo in gola a entrare in via Belmonte Chiavelli. Negli anni Settanta, era il regno della vecchia mafia di Stefano Bontate che faceva affari con l’edilizia: in una palazzina sulla destra, all’inizio del grande budello, aveva sede l’Immobiliare Orsa Maggiore, il braccio operativo del costruttore Domenico Sanseverino, che fra i suoi soci aveva i mafiosi più rampanti di Palermo. Ora, invece, all’inizio di via Chiavelli c’è una targa con una freccia: “Oasi della Speranza”. È proprio alla fine di questo budello, sulla montagna, lì dove fratello Biagio Conte si ritirava in preghiera, dentro un grotta da cui si vede tutta Palermo. Lui, via Belmonte Chiavelli l’attraversava con una croce in spalla. E oggi questa strada sembra ancora una via crucis. La via crucis di Palermo, dove la mafia non è mai andata via.

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Un tempo, poco più avanti rispetto al cartello dell’Oasi della speranza, Francesco Marino Mannoia aveva sistemato un laboratorio per la raffinazione della morfina base che arrivava dalla Turchia. I mafiosi della vecchia guardia si sentivano tranquilli in via Belmonte Chiavelli. Poi, un pomeriggio di gennaio del 1982, arrivarono di gran corsa due killer di Totò Riina, entrarono dentro la macelleria di Michele Ienna e gli scaricarono addosso una gragnola di colpi. Solo perché era sospettato di essere amico di Totuccio Contorno, il più temibile dei mafiosi diventati perdenti nella guerra di mafia. È ancora aperta la macelleria di Michele Ienna, al numero civico 100, ora la gestisce il figlio, che all’epoca aveva otto anni, non è mai voluto andare via. E la foto del padre l’ha appesa in bella vista, sopra il bancone.

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«Scrivetelo che in via Belmonte Chiavelli c’è tanta gente perbene», dice una signora che sta facendo la spesa. Siamo stanchi di essere etichettati come la strada della mafia». Purtroppo, anche più di recente, via Chiavelli è stata teatro di pesanti presenze mafiose: dalle parti del civico 164, i carabinieri tenevo sotto controllo il nuovo capo del mandamento, Giuseppe Greco; più avanti, c’era un appartamento dove i mafiosi di Santa Maria di Gesù si incontravano con quelli di Brancaccio, per progettare affari in città. Dalle parti del civico 196, un altro vecchio boss scarcerato, Salvatore Profeta, dispensava discorsi nostalgici: «Ai tempi di Stefano (Stefano Bontate – ndr) eravamo 120, ora siamo venti. Però, dovremmo fare sempre le votazioni per la famiglia». La vecchia mafia che ritorna vuole darsi arie di mafia buona. E soprattutto invisibile. Come Ignazio Pullarà. «Non sapevamo che fosse tornato», allarga le braccia una signora accanto alla chiesetta della Congregazione del bell’amore. «In giro non l’abbiamo visto», dice un pensionato all’ufficio Postale. «Ma è ormai un vecchio, ha 78 anni, lasciatelo in pace», sbotta un altro signore. In realtà, quando stava in carcere sembrava interessarsi ancora a quello che accadeva nella sua zona. «Com’è finito quel discorso, dei soldi della sala, hai risolto?». Così chiedeva al figlio Santi, nella sala colloqui del carcere dell’Aquila, correva il 2014. Poi, anche il figlio è stato arrestato e fino al mese di ottobre è stato sorvegliato speciale. Intanto, però, nel 2019, Pullarà senior ha subìto il sequestro di tre attività commerciali, che valevano un milione e seicentomila euro. Tre anni prima, il giovane Pullarà aveva invece incontrato Settimo Mineo, il padrino più anziano di Palermo che stava lavorando alla riorganizzazione della Cupola. Chissà se queste informazioni sono mai arrivate sulla scrivania del giudice di Cuneo che ha autorizzato il permesso premio per il boss, fino a domani.

La via crucis di via Belmonte Chiavelli continua. Ma, adesso, a Palermo mancano le preghiere di fratello Biagio.

 

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