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Paolo Picchio: “In nome di mia figlia Carolina aiuto i ragazzi a non morire di web”

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NOVARA – Paolo Picchio dice che la sua ragione di vita sono i ragazzi che incontra nelle scuole. “Anche salvarne uno soltanto mi avrebbe dato la forza per sostenere l’assenza di Carolina. Per fortuna, invece, riusciamo a salvarne tanti”. Una grande cascina alle porte Novara. Prati, fiori, alberi da frutto nel concerto di grilli e cicale nonostante l’assedio della siccità. “Carolina giocava sotto quel salice, quella era la sua altalena”. I giorni felici di una bambina.

Paolo Picchio, manager in pensione, ha la mitezza di chi è andato oltre la soglia – umana – del dolore. Divide la vita in questa corte antica con la sorella Maria Giovanna.  Se oggi c’è una legge in Italia che definisce e sanziona il cyberbullismo, se oggi esiste “il diritto a navigare in sicurezza” lo dobbiamo a lui, alla sua battaglia perché nessuno debba più patire le persecuzioni subite da sua figlia Carolina. È la notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2013 quando Carolina detta “Caro”, 14 anni, campionessa di atletica e di sci,  allegra, solare, bravissima a scuola e, anche, bellissima,  si uccide buttandosi dal balcone della sua cameretta di adolescente. Lascia una lettera di addio, grazie alla quale Paolo scopre l’abisso di sofferenza di una figlia diventata bersaglio, per un video diffuso su quei primi social, di una campagna di odio.

Paolo, cosa c’era scritto in quella lettera?

“In quella lettera, in gran parte secretata dalla procura di Torino, la mia Carolina spiega perché si è uccisa.  “Volevo soltanto dare un ultimo saluto…Perché il bullismo, tutto qui? Siete così insensibili? Ma voi lo sapete che le parole fanno più male delle botte? Cavolo se fanno male. Ma a voi cosa ne viene in tasca a farmi soffrire? Spero che adesso siate più sensibili con le parole”. E sotto indica i responsabili di chi le aveva distrutto la  vita”.

È doloroso raccontare, lei  però ne ha fatto testimonianza di vita creando la Fondazione Carolina contro il cyberbullismo. Perché quel video sconvolge così tanto sua figlia?

“Ad una festa in casa di amici, circa un mese prima, Carolina si era ubriacata. Non lo faceva mai, teneva alla sua salute, al suo fisico, quella sera evidentemente è successo qualcosa. Ricordo che intorno a mezzanotte le amiche di Carolina mi chiamarono spaventate perché mia figlia non riusciva a riprendersi. La trovai in bagno, priva di sensi. Soltanto dopo la sua morte ho capito cosa era accaduto davvero. Mentre era incosciente in cinque avevano mimato atti sessuali su di lei, uno di loro aveva filmato la scena e quel video su Facebook era diventato virale. Sotto insulti terribili, ingiurie, una valanga di odio”.

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Un mese dopo, a gennaio, qualcuno segnala a Carolina quel video che circolava in rete.

“Erano le tre di notte, mi svegliarono i carabinieri. La finestra della sua camera era aperta. In strada c’era un’ambulanza. Capii subito. Tutto era finito in un attimo.  Il suo sorriso, la sua allegria, la sua voglia di vivere, la sua dedizione agli altri, le nostre notti a guardare le stelle. Quella sera aveva visto il video di cui tutti parlavano e si era spezzata dentro. Le avevano violato l’intimità.  Avevo già perso un figlio di quattro anni, poi Carolina, a volte chiedo ancora a Dio il perché di tanta sofferenza”.

Chi tormentava Carolina?

“Per il video sono stati condannati in sei, all’epoca cinque erano minorenni, con pene alternative al carcere. Per l’unico maggiorenne ci fu un processo a parte. Arrivare alla sentenza, nel 2018, è stato difficilissimo, non solo per l’omertà che a lungo ha coperto gli autori di quella violenza, ma anche perché non esisteva la coscienza della gravità del cyberbullismo. Devo ringraziare la procura per i minorenni di Torino e la mia avvocata Anna Livia Pennetta, se quei ragazzi sono stati obbligati a riflettere su ciò che avevano fatto a Carolina”.

Paolo Picchio, papà di Carolina 

Sono cambiati? Le hanno chiesto scusa?

Paolo sorride e guarda lontano. “Spero di sì. Non ne sono certo”.

Nel 2017 intanto era stata approvata in Italia la prima legge sul cyberbullismo. Dove ha trovato la forza di “combattere” per sensibilizzare il Parlamento?

“In un passaggio della lettera di Carolina: “Voglio che si sappia la mia storia, perché in giro non sono solo io a soffrire di bullismo”. Per mesi dopo la sua morte sono rimasto immobile, sotto shock, incapace perfino di parlare. Potevo solo piangere. Leggevo e rileggevo le sue parole. Ho capito che mi aveva lasciato un compito: occuparmi dei suoi coetanei, delle vittime di bullismo. Per un diritto fondamentale: poter navigare in sicurezza”.

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La legge è firmata dall’ex senatrice del Pd, Elena Ferrara.

“Era la professoressa di Musica di Carolina, poi eletta in Senato. Ci incontrammo a una fiaccolata, anche lei voleva impegnarsi a fondo perché la tragedia di “Caro” non si ripetesse. E’ una legge di diritto mite rivolta ai giovani: punta alla prevenzione e alla rieducazione. Perché finalmente la Camera approvasse la legge ho dovuto però scrivere una lettera aperta a Laura Boldrini. Che la calendarizzò subito”.

“Non posso negare di essermi commosso: nessuno mi potrà ridare mia figlia, ma questa legge è per lei”, aveva detto il giorno dell’approvazione.

“Dopo la legge la Fondazione Carolina, che oggi è la mia ragione di vita”.

Cosa è la Fondazione Carolina?

“Una onlus che ho voluto fortemente con la quale facciamo prevenzione del cyberbullismo, supporto e formazione nelle scuole. Il segretario generale è Ivano Zoppi. Abbiamo un team di psicologi ed educatori con i quali interveniamo direttamente nei casi più gravi, dai ricatti sessuali in rete alle minacce, allo stalking”.

Cosa dice ai ragazzi quando li incontra?

“Racconto loro la storia di Carolina, quasi sempre hanno gli occhi lucidi. Dico loro che hanno il diritto di essere felici e sicuri sui social, ma che i rapporti umani sono insostituibili. Hanno diritto a connettersi con il mondo ma anche con se stessi, come dice Zoppi. Parlo della parità di genere. In questi cinque anni ne ho incontrati più di centomila. Molti poi mi cercano in privato. Penso a una ragazza che stava per compiere lo stesso gesto di Carolina. Dopo settimane di colloqui al telefono e in chat, mi ha detto che ne era uscita. Oggi sta benissimo.

Un ricordo di sua figlia.

“Quando mi chiedeva di andare a vedere e contare le stelle. Era innamorata dell’astronomia fin da bambina. Ogni agosto salivamo in montagna perché in alto il cielo è più pulito. “Caro” oggi è una stella che brilla per noi”.

Lei è stato un campione di vela. Naviga ancora?

“Sì, nonostante la mia età. Tra poco andrò nel Sud della Francia. In mare aperto mi sento vivo e guardo il cielo di Carolina”.

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