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di Alessandro Pellizzari
Fragili e traballanti: sono i denti di chi è affetto dalla parodontite, la malattia che colpisce quell’insieme di osso, fibre connettivali e gengiva che sostiene ogni singolo elemento del nostro sorriso. Secondo un’indagine Doxa sono tre milioni e mezzo gli italiani che rischiano la forma più grave, per intenderci quella che fa cadere uno o più denti.
Si parte spesso da un’infiammazione della gengiva, che però è solo la punta dell’iceberg, insieme ad altri sintomi come la sensibilità al caldo e al freddo, l’abbassamento delle gengive, l’alitosi e il sanguinamento. Ed è proprio quest’ultimo che dovrebbe allertarci, e molto prima che un dente inizi a muoversi. Tutti questi sintomi sono causati da una disbiosi del cavo orale, cioè quella situazione di squilibrio microbico che fa prevalere i germi più dannosi per il parodonto, provocando un’infiammazione che distrugge i tessuti di sostegno dei denti e porta, se non trattata, alla perdita degli elementi.
Fino a poco tempo fa la malattia parodontale era considerata incurabile, ma oggi le cose fortunatamente sono cambiate, come ci racconta il nostro esperto, il dottor Francesco Martelli, pioniere in questo campo dell’odontoiatria e presidente di IMI-EDN, rete di centri odontoiatrici specializzati nel trattamento delle patologie del cavo orale.
Perché dobbiamo intervenire ai primi sintomi?
Perché questo ci consente di trattare la malattia in una fase in cui il danno è reversibile e l’eliminazione della disbiosi si ottiene facilmente portando ad una rapida risoluzione dei sintomi. Il ripristino dell’eubiosi e la conseguente eliminazione dell’infiammazione possono consentire la chiusura delle tasche e la rigenerazione dell’osso.
Come si ottiene questo risultato?
La terapia meccanica per eliminare le incrostazioni di tartaro radicolare è il presupposto fondamentale di qualsiasi trattamento parodontale. La terapia fotodinamica eseguita con il laser al neodimio è in grado di eliminare selettivamente i batteri patogeni senza danneggiare minimamente le strutture anatomiche, anche in quelle zone come la dentina dove nessun altro mezzo meccanico o farmacologico è in grado di arrivare.
Quindi non ci sono farmaci per curare la parodontite?
No, perché i batteri che contaminano i tubuli dentinali sono protetti all’interno di queste strutture dentro le quali, mancando i vasi sanguigni, gli antibiotici non possono arrivare.
E la chirurgia parodontale può avere ancora un ruolo?
Sì ma in casi molto selezionati, dove l’intervento chirurgico viene eseguito per rimuovere il tartaro radicolare che non si riesce a vedere neanche con il microscopio operatorio. La prevenzione, soprattutto, è fondamentale per la diagnosi precoce di questa malattia e un test di rischio parodontale effettuato in giovane età, specialmente nei casi di familiarità, permette all’odontoiatra di impostare tempestivamente un protocollo di igiene orale e di controlli in grado di intercettare la disbiosi sul nascere.
Cosa c’entra l’ortodonzia con la parodontite?
L’affollamento dentale e la meccanica alterata della bocca sono uno dei tanti fattori favorenti della malattia. I denti dell’arcata superiore devono prendere rapporto con quelli dell’arcata inferiore in maniera funzionalmente corretta. Se questo non succede i pazienti predisposti alla malattia parodontale svilupperanno sugli elementi in trauma occlusale lesioni parodontali molto più gravi e molto più velocemente. Quindi non ha senso eseguire interventi di riallineamento che considerino solo la finalità estetica senza tener conto delle esigenze funzionali, perché questo espone il paziente al rischio di sviluppare parodontite o di peggiorarne una già esistente.
Come si accerta la disbiosi?
La diagnosi si fa con un tampone molecolare orale, inserendo delle punte di carta sterili nelle tasche parodontali con un’analisi quali-quantitativa dei patogeni parodontali. L’esame va effettuato anche a fine terapia per accertarsi di aver raggiunto l’obiettivo di eubiosi.
Quali altri esami è consigliabile eseguire?
La parodontite può essere studiata anche da altri punti di vista, uno di quelli più utilizzati è l’esame quantitativo della metalloproteinasi 8, enzima che distrugge il collagene, che è la componente proteica essenziale dell’osso. La liberazione in circolo di questo enzima nei pazienti con parodontite attiva aumenta il rischio di osteoporosi, di cardiopatie e di neuropatie.
Anche i denti mancanti possono favorire la parodontite?
L’edentulia è uno dei cofattori della comparsa della parodontite. La bocca funziona con 28 elementi ed il presupposto per la stabilità a lungo termine dei risultati ottenuti con la terapia fotodinamica è la presenza di tutti i denti delle due arcate correttamente funzionanti.
La dieta ha un ruolo importante?
Eccome. La disbiosi, ma anche il nostro patrimonio genetico (un difetto nel DNA può farci malassorbire i nutrienti), possono portare a carenze importanti per la salute della bocca e quella generale. Nei pazienti troviamo soprattutto carenze di vitamina D, del gruppo B e in particolare di acido folico. E poi oligolementi come lo zinco e il rame, o il coenzima Q10. In questi casi occorre fare un piano di integrazione personalizzato, perché i quantitativi di queste sostanze contenuti nel cibo possono non bastare. Questi elementi infatti costituiscono un ombrello protettivo contro la parodontite, ma vanno somministrati in base ai risultati dei test genetici che si affiancano sempre ad approfonditi esami ematochimici.
Ci sono altre cause della parodontite?
Uno squilibrio nell’asse psiconeuro- endocrino-immunologico, detto PNEI, cioè di quel sistema fatto dell’interazione fra mente, sistema nervoso, endocrino e immunitario, un “super-organo” che va valutato e curato sempre nel suo insieme. Due esempi: gli ormoni nelle donne e lo stress in entrambi i sessi. La menopausa, la gravidanza e l’allattamento, con la perdita dello scudo degli estrogeni e l’impoverimento di nutrienti, rappresentano momenti critici nella vita della donna in cui può esplodere la parodontite. Per questi motivi prevediamo negli esami del sangue anche la valutazione del cortisolo (ormone dello stress), dell’insulinemia e dei più importanti nutrienti idrosolubili e liposolubili (vitamina D e vitamine del gruppo B).
C’è una parodontite incurabile?
I denti che hanno una mobilità di terzo grado, in orizzontale e verticale, vanno rimossi, ma per fortuna possono essere sostituiti con mpianti in titanio. E se non c’è l’osso lo possiamo ripristinare con la rigenerazione.
La parodontite si sconfigge in tre mosse
Ecco il protocollo messo a punto dal dottor Martelli per sconfiggere la malattia più grave della bocca.
1. Dopo gli esami e il test genetico si esegue una pulizia meccanica profonda con l’ausilio del microscopio operatorio. La placca è un consorzio di batteri, che costituisce un biofilm che ricopre il dente e sul quale si deposita del calcio (per carenza nutrizionale o problema ormonale) formando il tartaro, che va rimosso dalle radici.
2. Con il laser a Neodimio si decontaminano le strutture più profonde del parodonto senza danneggiare le cellule, l’osso e la gengiva. La terapia fotodinamica irriga la tasca parodontale grazie anche a un disinfettante a base di iodio che cattura la radiazione, rendendola più efficace e, grazie all’azione biostimolante del fascio di luce del laser, stimola le cellule staminali per ricrescita ossea.
3. Si ripete il tampone molecolare e, se negativo, si procede, se necessario, alla rigenerazione ossea e poi all’implantologia.
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