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di Paola Rinaldi
Se hai paura di vomitare, anche solamente leggere il titolo di questo articolo potrebbe metterti a disagio. L’emetofobia è la fobia intensa e irrazionale del vomito, che include la paura di provare nausea, di vedere o sentire un’altra persona vomitare o di vedere il vomito stesso. Non si tratta di un semplice disgusto, che in fondo accomuna un po’ tutti sull’argomento, ma di un vero e proprio senso di angoscia che finisce per compromettere la quotidianità.
«Come in tutte le fobie, anche in questo caso il problema sta nelle tentate soluzioni che la persona mette in atto per affrontare il proprio disagio, senza accorgersi che in realtà sono proprio quelle ad alimentarlo», commenta il dottor Giulio De Santis, psicologo, psicoterapeuta e specialista in Psicoterapia Breve Strategica a Milano, Bologna e San Benedetto del Tronto. «Precauzioni, evitamenti e rituali adottati nel tentativo di “proteggersi” dal vomito finiscono in realtà per restringere il mondo degli emetofobici, al punto da rendere loro impossibile lavorare, andare a scuola o socializzare».
Come si manifesta l’emetofobia
Chi ha paura del vomito fa ruotare la propria vita intorno a questa fobia e ciò si traduce in una serie di comportamenti bizzarri: per esempio, l’emetofobico potrebbe non indossare mai le scarpe aperte (neppure d’estate) per evitare di entrare in contatto con un’eventuale chiazza di vomito per strada o magari potrebbe scegliere il tragitto più lungo per raggiungere l’ufficio pur di evitare l’attraversamento di zone frequentate da soggetti più “a rischio”, come studenti o clochard.
«Poi si iniziano a evitare i mezzi di trasporto che possono causare la cinetosi, o mal di movimento, come traghetti, autobus o la stessa automobile, fino a non uscire più con gli amici per non doversi trovare costretti a mangiare cibi poco sani o di dubbia provenienza che potrebbero causare disturbi gastrointestinali», racconta il dottor De Santis.
«Molti emetofobici rinunciano al cinema per evitare che un’eventuale scena di vomito nel film possa mandarli nel panico e metterli in imbarazzo davanti a tutti i presenti, ma non è raro che rifiutino anche di avere animali domestici oppure un qualsiasi contatto ravvicinato con i bambini molto piccoli, perché potrebbero vomitare in qualunque momento, senza preavviso».
La lista dei comportamenti stravaganti continua evitando di frequentare quei locali dove i giovani si ubriacano, di fare una corsa per la paura che lo sforzo fisico induca il vomito, di aiutare qualcuno che sta male di stomaco. «Si può anche rischiare un abuso di farmaci antiemetici, assunti spesso senza una reale necessità», aggiunge l’esperto. «Tutto questo finisce per coinvolgere anche i famigliari, costretti a dormire in camere o addirittura in case separate in caso di contagio da virus intestinale».
Quali sono le cause dell’emetofobia
Siamo tutti un misto di ambiente in cui cresciamo, educazione che riceviamo e un pizzico di genetica. A volte non c’è una causa scatenante, ma solo un eccessivo controllo delle proprie reazioni fisiche, altre volte invece l’emetofobia si verifica dopo un’esperienza negativa con il vomito.
«Ad esempio, una persona potrebbe sviluppare il problema se le è capitato di vomitare in pubblico o di fronte a qualcun altro, provando un forte imbarazzo che a volte può anche culminare in un vero e proprio disturbo post traumatico da stress, oppure dopo un’influenza intestinale, un’intossicazione alimentare o un’ubriacatura che hanno causato una crisi di vomito molto intensa», spiega il dottor De Santis.
«Altre volte, invece, l’origine può risalire all’infanzia, quando mamma e papà ripetevano insistentemente di non fare o di non mangiare qualcosa perché in caso contrario avremmo vomitato, oppure a un episodio in cui abbiamo visto una persona stare davvero male».
A quel punto, la mente inizia a elaborare una serie di paure, come quella di non riuscire a raggiungere un bagno in tempo, di vomitare ripetutamente senza riuscire a fermarsi, di soffocarsi con il vomito, di mettersi in imbarazzo di fronte agli altri, di essere ricoverati in ospedale e così via. Così inizia il vortice del controllo, che paradossalmente finisce per far perdere il controllo.
Quali sono le conseguenze dell’emetofobia
In base alle strategie messe in atto per evitare il problema, l’emetofobia può portare a gravi conseguenze psicologiche che investono l’attività lavorativa e i rapporti sociali, perché la persona fa di tutto per scongiurare il rischio. I bambini si rifiutano di andare a scuola o di andare a trovare un amico, gli adulti possono perdere il lavoro poiché costretti ad assenze “strategiche” e smettono di mangiare al ristorante.
Questo significa perdersi gran parte della vita e dover gestire un gran numero di preoccupazioni, nel tentativo di allontanare il rischio di qualcosa che raramente accade. In più, si apre facilmente la strada a malnutrizione e disidratazione, altre fobie, disturbi alimentari, depressione e un’eccessiva attenzione alle sensazioni gastrointestinali con la tendenza a interpretare qualsiasi sintomo come il segno di imminente nausea e vomito.
Come si affronta l’emetofobia
La Psicoterapia Breve Strategica (modello Giorgio Nardone) rappresenta un’opzione valida per trattare l’emetofobia, perché aiuta le persone a riappropriarsi della loro vita. «Il protocollo di trattamento si basa su di una serie di prescrizioni che conducono gradualmente la persona a vincere la sua paura e a tornare serenamente a vivere», indica il dottor De Santis. «Si tratta di stratagemmi, costruiti individualmente, che portano la persona ad abbandonare, una dopo l’altra, le tentate soluzioni adottate fino a quel momento per evitare e difendersi dall’oggetto della sua fobia».
Nella pratica, si apprende a “evitare di evitare”, imparando ad affrontare tutte le situazioni critiche attraverso un training che insegna a utilizzare il “paradosso dell’aumentare l’ansia per diminuirla”. «Nei casi in cui ci sia un evento traumatico palese e riconosciuto che disegna una linea di demarcazione tra un “prima” e un “dopo”, si lavora attraverso la scrittura quotidiana del trauma per desensibilizzare la persona da quell’evento, un po’ come guardare lo stesso film horror più e più e più volte con il risultato che inevitabilmente smetterà di farci paura», conclude l’esperto.
«Laddove oltre all’attivazione emotiva sia presente anche una forte ruminazione mentale sugli eventi temuti, il protocollo prevede tecniche specifiche per interrompere il circolo vizioso delle domande e delle risposte interne, che spesso impediscono l’agire, permettendo il totale recupero della qualità della vita e la liberazione dalle credenze strutturate nel corso degli anni».
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