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Peppa pig, Goldrake, Kung fu panda: quando la politica se la prende con i cartoni animati

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Cos’hanno in comune una maialina che ama le pozzanghere, un panda che s’intende di arti marziali, una famiglia americana di Quahog e un robot da battaglia degli anni Settanta? Tutti protagonisti di cartoni animati che, una generazione dopo l’altra, hanno intrattenuto schiere di ragazzini. Ma non solo. Possono anche vantarsi, loro malgrado, d’aver scalato il cursus honorum entrando a gamba (o zampa) tesa in Parlamento e campagne elettorali.

Peppa Pig e le famiglie arcobaleno

L’ultima, ormai celebre è stata Peppa Pig, rea d’avere un’amichetta antropomorfa con due mamme. Federico Mollicone, responsabile Cultura di Fratelli d’Italia, ha chiesto alla Rai di censurare la puntata arcobaleno perchè “è inaccettabile” non dare un papà a Penny Polar Bear. E così pure l’associazione ProVita, Isabella Rauti e Fabio Rampelli e l’ex ministro Carlo Giovanardi che ha scomodato il Comitato media e minori del ministero dello Sviluppo economico per bloccare con un esposto la puntata dell’orsetta e sanzionare la Rai. Tanta foga anti-Peppa ha travolto pure Matteo Salvini che per troncare la questione – “Pensiamo alle bollette” – ha chiamato però a raccolta pure le principesse delle fiabe: “Giù le mani da Peppa Pig, da Masha e Orso e da Cenerentola“, ha detto.

Il Griffin blasfemo

Proprio dalla Lega, poco più di un anno fa, era partita la crociata contro i Griffin. “Oh cacchio”, avrà detto Peter, il padre di famiglia (stavolta c’è e fin qui nulla da dire) della dissacrante saga animata americana. Alla testa di quest’esercito s’erano messi i senatori Simone Pillon e Roberto Calderoli e il deputato Daniele Belotti: in una puntata trasmessa da Fox in fascia protetta e chiamata “Gesù, Maria e Giuseppe” Peter raccontava la sua personale e irriverente versione della Natività.  “È blasfemo”, “offensivo”, “via la replica”, avevano scritto in un esposto all’Agcom. E quella volta l’Authority gli ha dato ragione: la battaglia legale è finita 1-0 con una multa alla Disney da 62mila euro.

Il panda con due papà

E arriviamo al 2016, quando Mario Adinolfi decise di battersi a mani nude contro Kung Fu Panda. “Volete capire come si fa il lavaggio del cervello gender ai bambini?, scriveva l’attuale capo di Alternativa per l’Italia. “Guardate Kung Fu Panda 3”. Laddove si scopre che il protagonista Po ha due papà: uno biologico e l’altro adottivo. Per Adinolfi un modello “tremendamente pericoloso” per “far passare il concetto della stepchild adoption“, ovvero la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner. Che poi, a ben guardare il cartone, non è nemmeno così. Ma questa è un’altra favola.

Le alabarde proletarie contro Goldrake

E la sinistra? Nel gennaio del 1979, dalle colonne di Repubblica, l’allora deputato di Democrazia Proletaria e membro della Commissione di vigilanza Rai Silverio Corvisieri si lanciò in una sfida ipergalattica contro Goldrake, trasmesso per la prima volta il 4 aprile del ’78 su Rete 2, nel bel mezzo del rapimento Moro. “Si celebra dai teleschermi, con molta efficacia spettacolare, l’orgia della violenza annientatrice, il culto della delega al grande combattente, la religione delle macchine elettroniche, il rifiuto viscerale del “diverso” (…).  In quale modo un genitore può fronteggiare con i poveri mezzi delle sue parole la furia di Goldrake?”, scriveva il compagno Corvisieri nell’articolo intitolato “Un ministero per Goldrake”. Qualcuno ricorda che lo stesso deputato depositò pure un’interpellanza parlamentare, caduta nell’indifferenza generale al contrario del pezzo sul giornale che alimentò un imprevedibile e acceso dibattito: Dario Fo definì il robot guidato da Actarus un “fascista”, a difendere il cartone scese invece in campo Gianni Rodari (e Lotta Continua). Poco più tardi, o almeno così si racconta, anche Nilde Iotti, ex compagna di vita di Palmiro Togliatti e presidente della Camera, si scagliò contro i cartoni giapponesi, “fascisti” pure quelli.

Dalla parte dei cartoons

La lista dei tentativi di mettere un freno a Cartoonia proseguirebbe. Ma, nella storia politica recente, ci sono pure cartoni amici: nel 1983 il Psdi ne inventò uno, Gigi il gatto, parlando di case, pensioni e ospedali con una pronuncia dialettale variabile divenne lo spot della campagna elettorale. Molti anni più tardi (2013), Enrico Letta parlando da premier della stabilità del governo al termine di un Cdm disse: “Non c’ho mica scritto Jo Condor in testa, e al momento giusto lo dimostrerò”. Fu invece Matteo Renzi a riabilitare Goldrake (qualora ce ne fosse stato bisogno): in una puntata di Porta a Porta, incalzato dalle critiche, sbottò: “Se non vado bene, chiamate Goldrake”. E così pure Maurizio Martina, allora (2018) segretario reggente del Pd: “Non sono Goldrake“. Nel 2019 fu Giorgia Meloni a festeggiare su Twitter il quarantennale di Capitan Harlock, addirittura “simbolo di una generazione che ha sfidato l’apatia e l’indifferenza della gente, lottando contro chi voleva privarla del futuro”. La fascinazione della destra per il pirata dello spazio, come ricostruito da Vice e dal ricercatore Elia Rosati, “parte da lontano e affonda le sue radici negli ambienti rautiani” che avevano intravisto in Harlock niente meno che la “figura evoliana dell’uomo in piedi tra le rovine”.

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