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di Antonella Paglicci
Il silenzio, questo grande sconosciuto nelle nostre giornate. Eppure è d’oro, anche per la salute. Attuali indagini scientifiche, infatti, stanno confermando che la silenziosità può diventare un fattore protettivo per il benessere della mente e del corpo, soprattutto quando è cercata intenzionalmente. Consapevole, insomma: proprio dei suoi effetti neurofisiologici, molecolari e psicologici si è parlato nel recente incontro I.C.O.N.S. (International Conference On The Neurophysiology Of Silence), che si è svolto all’Università La Sapienza su iniziativa della Fondazione Patrizio Paoletti, ente filantropico di ricerca in ambito neuroscientifico e psicopedagogico.
Starbene ha intervistato il fondatore, Patrizio Paoletti, che da più di 40 anni si occupa di crescita della persona, per capire come e perché silenziare i decibel che inquinano la vita.
Dottor Paoletti, ma il silenzio è assenza di parole, suoni, rumori?
Non solo. Dal punto di vista psicologico, è altro: il silenzio s’identifica con una certa predisposizione psichica. Noi, infatti, siamo costantemente immersi sia in un ambiente esterno, con tutti i suoi stimoli, sia in uno interno, e i due si relazionano costantemente. Entrambi non agiscono in modo indipendente sull’individuo, piuttosto lavorano insieme per dare forma a pensieri, sentimenti e comportamenti.
Cosa significa cercare il silenzio?
Mentre l’ambiente esteriore non sempre può essere plasmato a nostra volontà, possiamo educarci a una maggiore padronanza del nostro habitat interiore. Cominciare, insomma, a pensare a un silenzio cercato intenzionalmente. S’identifica con quello spazio che riusciamo a rubare al chiasso della vita quotidiana. In questo intervallo, il nostro cervello non si spegne ma entra in una dimensione diversa. Si rigenera, come dicono diversi studi neuroscientifici.
Questa scelta taciturna cosa comporta?
A sentire i dati di svariate analisi il silenzio intenzionale è un costituente protettivo per la mente e il corpo. Sotto il profilo intellettivo ci ritroviamo più lucidi, più desiderosi di interagire con le sollecitazioni della vita, più capaci di essere empatici con gli altri. Sul versante fisico, invece, migliorano parametri come la pressione sanguigna, il battito cardiaco, la respirazione. Tutte le funzioni primarie che sovrintendono alla nostra sopravvivenza si normalizzano, quindi il silenzio ha davvero un aspetto curativo.
Come si realizza questa terapia?
È una specie di dialogo interiore di cui tutti, chi più chi meno, siamo consapevoli. E che risulta fondamentale per ognuno perché ci fa narrare i fatti della nostra autobiografia. Allora, fare un passo dentro di noi, sfuggire alla recriminazione del passato, non proiettarsi continuamente nelle spire del futuro ma restare nel presente ci permette di riorganizzare, risistemare gli eventi passati, presenti e, in qualche modo, anche futuri, con la nostra capacità di prefigurare il tempo che verrà.
Veramente?
A tu per tu con la nostra interiorità, si tratta di ripetersi cos’è davvero importante per noi, che vogliamo realmente, quali conquiste abbiamo realizzato e quelle che desideriamo affrontare. Il silenzio, qui, non è una pausa.Ma un reset che crea ordine e, di conseguenza, un’area nuova per rielaborare meglio ieri, oggi e anche domani.
A suo avviso, qual è il beneficio più importante?
Quello psicoemotivo. La quotidianità tiene in uno stato di allerta sia la nostra capacità mentale sia quella emozionale, facendoci cadere troppo spesso nel burrone delle emozioni negative. Di fronte alle sollecitazioni umane abbiamo una risposta automatica: rabbia, paura, agitazione, recriminazione e ansia, che racchiude tutte queste sensazioni quando le esprimiamo in maniera incompresa. A livello corporeo, questa reattività immediata può funzionare perché è un meccanismo istintivo di sopravvivenza. Sul piano psichico, però, non opera altrettanto bene.
Di cosa abbiamo bisogno, invece?
Di un altro schema di comportamento. Cioè: sollecitazione, comprensione (spostarsi da “cosa devo fare” a “qual è la vita che voglio”), in maniera da dare una risposta che non sia causale ma direzionale. Quindi, il silenzio potrebbe determinare, per quello che ci è possibile, la qualità della nostra esistenza. Perché, essendo la mancata risposta istintiva alle continue pressioni cui siamo sottoposti, ci permette di risolvere e riorganizzare tutte le cose che ci accadono (e subiamo senza rendercene conto) con maggiore consapevolezza di noi stessi e delle nostre istanze più intime e profonde. Quindi, aiuta moltissimo a vivere una normalità in grado di soddisfarci, e non una vita fatta di rincorse.
Difficile isolarsi, però, da tutto e tutti…
Non si tratta di staccarsi dal mondo, ma di prendersi un attimo con noi stessi. Anche nel caos, nel baccano più assordante, dal momento che c’è un livello sensoriale in cui possiamo mettere il frastuono che ci circonda fuori e dentro di noi – sì, in questo ci metto anche le domande che ci assillano perché pensiamo di non avere né tempo né modo per poterle gestire – e lo poniamo in secondo piano per un attimo, lo silenziamo. Solo così è possibile ascoltarci. La tecnica del silenzio consapevole non è separarsi da tutto e tutti ma dire a noi stessi delle cose.
Quali sono?
La prima è: autostima (sono capace, so farlo, posso confrontarmi con le sfide della vita, tutte le sue problematiche e imprevisti). Il secondo passaggio: mi proietto al di là dei miei orizzonti abituali, in un luogo dove mi sento più “pulito”, ritrovo il mio centro. Terzo passo: mi distacco da me e vedo i nodi che mi tengono in questo stato di tensione, li lascio andare con un atto volontario di autodeterminazione. Eccolo realizzato il silenzio consapevole: perché lo voglio io e mi autodetermino a starci per 5, 10, 20 minuti o il tempo che si vuole. La quarta fase è ancora più semplice: ricordo a me stesso che senza questa azione la mia esistenza non può migliorare (perché è soggetta alle alterne vicende della vita). Infine, quando esco dal silenzio, vado verso l’altro, mi predispongo a essere più disponibile, cooperativo, interattivo.
Tutti i giorni va praticato il silenzio?
Sarebbe bellissimo prendere l’abitudine di ritagliarsi ogni giorno quei 5, 10 minuti tutti per noi. Secondo alcuni report, bastano 7 minuti di silenzio per produrre una vera e propria rigenerazione della nostra mente.
Ma usciti dal silenzio cosa sentiamo di nuovo e profondo?
Passiamo, come dicono alcune osservazioni di studio, dalla cacofonia (rumore) all’armonia (musica). No, non sentiamo continuamente note sublimi, questo è chiaro, la vita intorno a noi, con i suoi decibel ad alto, altissimo volume, rischia sempre di spaccarci i timpani. Cambia, però, lo spazio di ascolto, il nostro si amplia e lo stimolo, quando entra dentro di noi, romba meno. Perché una mente più tranquilla è una mente più lucida, focalizzata, creativa e dinamica. Dal mantra: “sono stanco stanco” si passa al mantra “cosa c’è di interessante? Di nuovo? Di invitante?”; dall’ordine “sono aggressivo contro chi mi guarda ostile, minaccioso” si passa al “prima cerco di capire”. Diciamo che suona tutt’altra melodia nelle nostre orecchie…
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