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Roma — Non solo i “capitani” o gli uomini dell’equipaggio della Summer Love. Anche sei fra ufficiali e sottoposti di Finanza e Guardia costiera devono rispondere dei 94 morti del naufragio di Cutro. Ci crede la procura di Crotone che per tutti ha chiesto il rinvio a giudizio, convinta che se nella notte fra il 25 e il 26 ottobre da parte loro non ci fossero state «omissioni» e «inerzie» quel pezzo di spiaggia in Calabria non si sarebbe trasformato in un cimitero.
Un passaggio quasi scontato dopo l’avviso di conclusione indagini del luglio scorso, ma che diventa nuovo motivo di scontro fra governo e toghe. «Certi magistrati dovrebbero pensarci mille volte, prima di accusare donne e uomini che rischiano la vita tutti i giorni», attacca il ministro Matteo Salvini. Si dice «certo che la magistratura saprà fare giustizia», ma esprime «solidarietà e sostegno» ai militari Matteo Piantedosi. Da Crotone, niente commenti, si continua a lavorare.
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In aula il pm Pasquale Festa, titolare anche delle inchieste contro l’equipaggio del caicco, ha chiesto la condanna dei tre uomini accusati di aver aiutato i “capitani”, già condannati in abbreviato. Per il resto si aspetta la data dell’udienza preliminare, quando davanti al giudice dovranno presentarsi Giuseppe Grillo, Alberto Lippolis, Antonino Lopresti e Nicolino Vardaro della Finanza e Nicola Nania e Francesca Perfido della Guardia Costiera. Tutti rischiano il processo per omicidio colposo plurimo e naufragio colposo perché sono venuti meno al «prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare».
Al centro dell’inchiesta ci sono cinque ore di comunicazioni, rimpalli di responsabilità, consapevoli sottovalutazioni. Sono quelle che passano dall’avvistamento del caicco — individuato da un aereo di Frontex e subito segnalato come possibile barcone con migranti a bordo — e lo schianto sulla secca. Era notte di tempesta.
E lo sapevano tutti, a partire dalla Finanza che aveva autorizzato una delle sue unità a rientrare proprio per le pessime condizioni meteo. Lo rivelano anche le conversazioni, istituzionali e non, di quella notte. «Abbiamo là una nostra motovedetta che l’attenderà, mare permettendo», diceva uno degli indagati. Ma non c’era nessuno ad aspettare la Summer Love e con il radar cieco oltre le 12 miglia, nessuno a monitorarla. Anche la Guardia Costiera, che con le sue inaffondabili Cp avrebbe potuto raggiungere il caicco, quando la Finanza ha passato la mano è rimasta inerte. «Vediamo come evolve, perché al momento non abbiamo nessuna richiesta di aiuto», è un altro dei messaggi di quella notte.
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Fuori dall’inchiesta è rimasto il “livello politico”, che trapela però dalle 650 pagine di informativa finale e dalle parole di ufficiali come l’ex comandante Alberto Catone, che a verbale parla di una Capitaneria di Porto «restia a operare» salvo in situazioni di conclamato pericolo a causa «dell’approccio dell’allora ministro dell’Interno». Era Matteo Salvini, oggi come all’epoca del naufragio, ai Trasporti e da cui direttamente dipende la Guardia Costiera.