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di Paola Rinaldi
Il 5% della popolazione mondiale (430 milioni di persone, di cui 7 milioni solo in Italia) soffre di una generica perdita della funzionalità uditiva: giorno dopo giorno, tutto suona come se fosse ovattato, voci e musica si fanno lontane, dialogare diventa più complicato. «Quando si parla di udito, il concetto di normalità è molto variabile, perché cambia nel corso del tempo», spiega il dottor Sergio Panizza, specialista in Otorinolaringoiatria presso l’Istituto Clinico S. Anna di Brescia.
«A differenza di altri organi del corpo, come fegato o pelle, l’orecchio interno non ha la capacità di rigenerarsi, per cui perde progressivamente la facoltà di discriminare le frequenze sonore, a partire da quelle più alte». Ma cosa sono le frequenze? Per capirlo, facciamo un piccolo esperimento: tocchiamoci la gola e pronunciamo a voce altissima le cinque vocali, A, E, I, O, U. Sentiremo la mano vibrare. Ecco, le frequenze (che si misurano in Hertz) sono proprio le vibrazioni che caratterizzano i suoni: nel nostro esperimento le abbiamo percepite con il tatto, ma le orecchie sono centomila volte più sensibili delle mani, per cui riescono ad avvertire frequenze piccolissime, che non potremmo mai “toccare”.
L’udito è una questione di età
C’è solo un limite. Affinché il nostro orecchio le percepisca, è necessario che le frequenze siano comprese tra i 20 e i 20.000 Hertz. Al di sotto si parla di infrasuoni, al di sopra di ultrasuoni: solo alcuni animali possono sentirli, come elefanti e piccioni (che possono percepire gli infrasuoni) o cani e gatti (che sentono gli ultrasuoni). Fra 20 e 20.000 Hertz, invece, rientrano il linguaggio umano e la musica, se non fosse che con il passare del tempo questo range si riduce per ciascuno di noi: un bambino di due anni è perfettamente in grado di avvertire i 20.000 Hertz, mentre un anziano fatica ad arrivare oltre gli 8.000.
Non a caso ci sono siti web che permettono di scaricare le cosiddette suonerie Mosquito, che solamente i ragazzi riescono a percepire (come un fischio) e permettono quindi agli studenti di ricevere telefonate e messaggi in barba ai professori più “attempati” di loro. «Il motivo è semplice: l’orecchio è tappezzato da piccole cellule nervose, dette ciliate, e ciascuna di esse ha una sensibilità specifica per una determinata frequenza. Quelle che si sintonizzano sulle più alte tendono a degenerare prima», racconta il dottor Panizza.
Quando iniziano i problemi
Con il passare del tempo, questo decadimento pregiudica non soltanto la nostra capacità di sentire, ma anche quella di comprendere. Semplificando: le parole (così come gli altri suoni) sono serie di frequenze che arrivano alle nostre orecchie sotto forma di onde, i cui picchi sono rappresentati dalle lettere. Maggiore è la nostra capacità di “pulire” le onde da quello che non serve, cioè da tutto ciò che sta intorno ai picchi, più nitide saranno le lettere che arrivano al cervello, dove viene poi decifrato quello che ascoltiamo.
«Purtroppo, anno dopo anno, viene meno questa capacità di pulizia e, di conseguenza, iniziamo a capire meno bene chi ci parla. Questo accade già a partire dai 40-45 anni, se non prima, tanto che alcuni neo genitori faticano a comprendere le prime parole dei figli». Il problema inizia a manifestarsi soprattutto quando ci troviamo in ambienti rumorosi, perché le lettere arrivano all’orecchio con rumori di fondo che facciamo sempre più difficoltà a eliminare. Per capire meglio, pensiamo alle intercettazioni ambientali che vengono fatte dalla Polizia durante le indagini più importanti: quello che viene detto all’interno di un determinato luogo, come una stanza o l’abitacolo di un’auto, viene captato da microspie o altri mezzi tecnologici che hanno la capacità di intercettare solo le frequenze della voce umana, escludendo quasi completamente i rumori di fondo. «Ecco, con il passare del tempo, il nostro naturale sistema di intercettazione ambientale viene meno e diventiamo tutti un po’ più sordi».
Un test può dimostrarlo
Al di là della frequenza che lo caratterizza, il suono si misura in decibel, un’unità di misura che rappresenta la pressione con cui voci e rumori arrivano al nostro orecchio e lo fanno vibrare. Per esempio, il ticchettio della sveglia nel silenzio ha un’intensità di 30 decibel, una normale conversazione si attesta sui 60-70 decibel, mentre la musica da discoteca può raggiungere i 110 decibel. «Questo stesso parametro si usa per misurare l’udito nei comuni test audiometrici. In condizioni normali, l’orecchio umano percepisce suoni di intensità inferiore a 20 decibel, pari a un respiro, ma qualcosa può andare storto», avverte Panizza.
Alcuni problemi sono presenti sin dalla nascita, a causa delle sordità genetiche ad esempio, oppure possono insorgere durante l’infanzia a seguito di malattie esantematiche (come rosolia, morbillo e parotite), o di una condizione piuttosto frequente come l’otite media acuta, dovuta a un’infezione in cui si forma muco che, in tempi rapidi, si trasforma in pus. «Se l’ipoacusia interessa l’orecchio medio o esterno, solitamente è temporanea e trattabile con una terapia farmacologica oppure con un intervento chirurgico. Al contrario, quando coinvolge l’orecchio interno, ha un carattere permanente e può essere curata solo con un impianto cocleare o un’amplificazione acustica».
Quando è colpa di traumi fisici e acustici
Con il passare del tempo, l’udito può essere compromesso da traumi fisici (colpi, pallonate, cadute), che solitamente causano deficit transitori, oppure da traumi acustici, provocati dall’esposizione a rumori molto intensi. A rischio sono soprattutto i frequentatori assidui di discoteche, ma anche chi fa uso di armi da fuoco per sport o attività venatoria, chi utilizza moto o auto da corsa, chi lavora in luoghi eccessivamente rumorosi, quali fabbriche, cantieri edili e locali notturni.
«Sul lavoro esiste un unico provvedimento utile, ovvero la prevenzione mediante dispositivi di protezione individuali, come cuffie o tappi antirumore, mentre nel tempo libero bisogna prestare attenzione a non esporsi spesso a stress sonori, evitando un uso giornaliero e pressante di auricolari o cuffie esterne, cercando di sostare il più lontano possibile dalle casse acustiche e dagli amplificatori dei locali, tenendo basso il volume della musica in auto o nei normali luoghi di soggiorno», elenca il dottor Panizza. «Dai 40-45 anni in poi, invece, inizia a metterci lo zampino l’età, anche se il calo uditivo è soggettivo e strettamente legato alla genetica, ma esistono anche farmaci ototossici che possono provocare danni più o meno reversibili all’apparato auricolare, come alcuni chemioterapici».
Non solo anzianità
A minare l’udito, inoltre, ci sono tumori (come lo schwannoma vestibolare), alcune malattie (come la sclerosi multipla o il diabete), problemi vascolari (vasculopatie cerebrali) e abitudini scorrette di vita (fumo di sigaretta).
«Ecco perché, a qualunque età, bisogna rivolgersi a uno specialista ai primi campanelli d’allarme: dolore localizzato all’orecchio; percezione di fischi, ronzii o altri rumori costanti; sensazione di voci distorte, metalliche o che rimbombano; difficoltà a comprendere una conversazione in presenza di rumore; necessità di chiedere spesso alle persone di ripetere ciò che hanno detto», spiega il dottor Panizza, che conclude: «Soprattutto quando il problema riguarda un solo orecchio, serve un consulto urgente: potrebbe trattarsi di ipoacusia improvvisa, un disturbo che si verifica appunto di colpo con una perdita significativa della capacità uditiva e che presenta tempi molto ridotti per poter intervenire con una terapia adeguata».
Una riabilitazione speciale
Fonema Italia, centro polispecialistico che opera nel settore del benessere uditivo, ha ideato un progetto unico nel suo genere, “Udito & Mente”, che offre l’opportunità di sottoporsi non soltanto a test uditivi, ma anche cognitivi: spesso, infatti, il calo uditivo atrofizza le aree cerebrali deputate a elaborare le stimolazioni sonore, per cui indossare una protesi acustica può non essere risolutivo. Qui invece viene offerta anche una ginnastica per la mente per riallenare all’ascolto e alla comprensione.
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