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Casa dolce casa. È il motivo dominante post-lockdown della vita degli italiani, fautori e finanziatori di un boom delle ristrutturazioni senza precedenti. Per Ihs Markit, fornitore di informazione globale, nel 2021 ha raggiunto il suo massimo storico (pari a circa 70 punti su 100, indice produttivo di riferimento) calcolato su oltre 22 anni di raccolta dati, spianando il terreno per una forte crescita anche nell’anno in corso (guerra, scarsità di materie prime e caro energia, permettendo).
Cifre Istat alla mano, le famiglie hanno investito in abitazioni 17,1 miliardi di euro (più del 28,9% rispetto al 2019-20) al punto tale che il settore edilizio ha rappresentato il 5% del Pil nazionale. Merito di bonus ultra-convenienti? Sicuramente, ma anche del particolare momento storico che abbiamo vissuto, premette la ricerca “Forme&Modi dell’abitare”, promossa da Visioninterne, società che propone servizi innovativi agli studi di interior design, e curata da Alessandra Micalizzi, psicologa, con dottorato in comunicazione e nuove tecnologie e autrice con Tommaso Filighera di Psicologia dell’abitare (Franco Angeli).
«La pandemia ha cambiato la percezione della casa, e l’ha resa meno scontata», riferisce. «Quando ci siamo trovati chiusi nelle nostre abitazioni, c’è stata la polarizzazione tra chi ha detto: “Sono proprio nel posto giusto, non cambierei una virgola” e chi si è chiesto: “Come ho fatto a vivere in questa situazione per tanto tempo?”. Per molti la casa si è trasformata in una sorta di trappola, oltre che l’unico punto di riferimento ortogonale della propria vita, personale e lavorativa. Perciò, pensare, progettare, attivarsi per cambiarla e/o rinnovarla è diventata un’esigenza sentita, e praticata».
Anche se l’obiettivo “voglio un alloggio più grande, più comodo, più bello, più accogliente” che porta alla rimodulazione, di una stanza come di un intero appartamento, è faticoso da raggiungere. Arriva dritto nella top five delle esperienze più traumatiche per un individuo.
Ne parliamo con la psicologa Alessandra Micalizzi, esperta di psicologia dell’housing, una disciplina che spiega i significati profondi del mondo dell’abitare e aiuta le persone a trovare soluzioni d’arredo consone alle loro esigenze. Dopo avere insegnato allo IED di Milano, ora collabora con Sae Institute di Milano.
Dottoressa Micalizzi, che significato ha la casa in psicologia?
Lo spazio abitativo non intercetta solo bisogni tipicamente funzionali ma, fin dal momento in cui prende forma, incarna e comunica aspetti più profondi. Quando si parla della “propria casa”, si toccano tre dimensioni. Identitaria: ogni alloggio è pieno di indizi che rimandano alla personalità dei suoi abitanti; mnestica: un’abitazione non racconta solo la sua storia ma custodisce anche la storia e le storie di chi la vive fino a diventarne una sua oggettivazione; simbolica: qualsiasi costruzione è espressione della cultura del proprio tempo, manifestazione di sé, vetrina di un certo mondo interiore e di un modo preciso di volerlo raccontare e condividere con gli altri.
La scelta di ristrutturare è un’operazione esistenziale…
Decidere di rifare, in piccolo o in grande, la casa rivela sempre i cambiamenti psichici che stiamo portando avanti. È la testimonianza che anche noi siamo ristrutturati, come si dice in psicologia: c’è stato un fatto, qualcosa di dinamico che ha portato un cambiamento e che è diventato parte della nostra nuova identità. Non a caso, la ristrutturazione è spesso strettamente legata a importanti cambiamenti biografici, una convivenza, un figlio, il trasferimento in un’altra città.
Oltre ai passaggi di vita o situazioni di stretta necessità, qual è la molla che ci spinge all’azione?
Una mancanza intima, e capita anche se stiamo in una dimora decisamente bella o rivista da relativamente pochi anni. Il bisogno di ristrutturare è strettamente fisiologico, scatta se non ci riconosce più in quegli interni. Perché ora siamo “altro”. L’esempio tipico? Volere un appartamento da “adulti”, più ordinato ed elegante, nel momento in cui non ci si sente più studenti.
Nella progettazione, quanto pesa il sogno di una casa perfetta?
Non facciamo l’errore (assolutamente ricorrente) di ispirarci in tutto e per tutto alle proposte delle riviste, dei social, dove tutto è al top di innovazione tecnica, gusto, funzionalità ma anche spesa. Quelle sono solo fotografie che rimandano a un’immagine di casa ideale, da cui tutt’al più possiamo trarre qualche spunto. Quando progettiamo un re-look, facciamoci ispirare invece dal nostro ideale abitativo.Tutti ne abbiamo uno nel profondo, e corrisponde a quella dimensione in cui stiamo bene e che rappresenta parti di noi. Ci piace invitare amici e siamo frustrati all’idea che le bellissime cucine a isola presentate dai brand a 5 stelle sono fuori budget? No problem, ci sono molte altre soluzioni per realizzare la stessa atmosfera di convivialità, con altrettanta soddisfazione e minore spesa. Amen, se l’immagine non è uguale a certe foto super glam.
Spazi, colori, arredi, cambiamo tutto ma poi viviamo per mesi in stato d’assedio. È un’esperienza comune…
E i motivi, certificati, di stress ci sono. Qualsiasi revisione, da un bagno a una villetta, è sempre un momento di rivoluzione che irrompe e sconvolge la linea di continuità e trasparenza della quotidianità. Noi viviamo la ristrutturazione come un fatto materiale, pensiamo che si tratti solo di spostare pareti o cambiare l’impianto elettrico, in realtà è molto di più. È un lavoro di relazione, nuovo e anche faticoso. Dobbiamo interagire con il progettista (se c’è), con l’impresa che si occupa dei lavori, con i nostri conviventi. Nello stesso tempo, siamo in prima linea con materiali, stili, tinteggiature, e come qualsiasi altra decisione è sempre un campo ad alta tensione.
Ha accennato alla famiglia: qui, che succede?
Tutti i conviventi sono coinvolti, ovviamente. Le circostanze non sono sempre uguali, ma qualche opinione me la sono fatta. Nella gran parte dei casi, c’è una persona – e non è detto che sia quella che paga i conti – che prende in mano le redini della situazione e coinvolge a cascata gli altri familiari; in altri, c’è chi si defila ma poi pesa di più nelle scelte finali; in altri ancora, s’instaura una specie di gerarchia familiare rispetto alle singole zone, ciascuno decide la stanza che più gli sta a cuore. Tirando le fila, comunque, la ristrutturazione è sempre il risultato di una negoziazione, che dipende dai ruoli impliciti che ciascuno ha all’interno della coppia o della famiglia.
Rifare casa è un atto di coraggio?
Sì, perché denota affrontare una fase destabilizzante, un periodo transitorio tra il prima e il dopo, che è tutto meno che piacevole: non abbiamo più i nostri posti, non troviamo le nostre cose, ci vuole tempo, energia e pazienza per tirare le fila. La fatidica frase: “ma chi me lo ha fatto fare?” si stempera solo se siamo, già prima d’iniziare, coscienti del caos (inevitabile) che si creerà.
Con quale spirito s’affronta questa piccola-grande impresa?
È un’avventura che si nutre di qualche ragionamento preliminare. Innanzitutto, bisogna fare un “bagno di realtà” e chiedersi cosa comporta, dal punto di vista strettamente pratico, il nostro progetto: ci aiuta a essere realistici sulle aspettative e le tempistiche tra il prima e dopo, in modo da non “protestare” se i lavori si rivelano complicati, i tempi s’allungano, l’impegno economico è sostenuto. Un’altra cosa importante è affidarsi a una figura tecnica di riferimento, e darle fiducia. Vuole dire: lasciamo lavorare l’architetto, l’interior design ma anche solo l’impresa preposta all’esecuzione, e permettiamogli di fare il suo mestiere, senza entrare in competizione. È sulla relazione “sana” che si gioca la qualità del risultato finale. Per ottenerlo, la strada maestra è tracciata: esprimiamo chiaramente i nostri obiettivi, desideri, priorità ma concediamo che gli addetti ai lavori ce li restituiscano attraverso la realizzazione concreta della nostra abitazione.
Finalmente è finito lo stress: ma quando siamo soddisfatti?
Quando in quella casa ci riconosciamo. Magari le pareti non hanno quel colore che avevamo pensato, il pavimento è un inedito per i nostri gusti, i mobili non sono del nostro design preferito. Però, se oltrepassiamo la porta abbiamo lo stesso una sensazione piacevole, di essere nel nostro guscio e di poterci chiudere al mondo esterno, in questo confine invalicabile. E, poi, c’è l’effetto esclusività, quel gusto di sentirsi dire dai nostri ospiti: “si vede che è casa tua”. È questo il successo vero, la prova provata di quell’alchimia magica tra noi e i professionisti che hanno realizzato gli ambienti.
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