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Quegli insulti senza ironia della campagna elettorale 4.0

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Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio erano amici. Passarono insieme il Capodanno del 2019 sulle nevi della Val di Fassa. Di Maio non era ancora fidanzato e si accodò a Dibba e alla sua compagna tra passeggiate e cene a base di gulasch, polenta, funghi. Poi anche i sodalizi più solidi finiscono e ora per Di Battista il ministro ha fondato “Impegno civico per le natiche di Di Maio”.

Quanti insulti in questo inizio di campagna elettorale!Brunetta nano. I festini di Arcore evocati a proposito diCarfagnaeGelmini.LettaeCalendadescritti come due adolescenti in amore.Ronzulli colf. L’album degli zombie diGrillo.Conte che dice degli ex: “Non rompessero le scatole!”. E quanti gesti irrispettosi, tipoLa Russache legge La Gazzetta dello sport mentre presiede la seduta al Senato.

Gli insulti in politica ci sono sempre stati. Ma un tempo almeno erano temperati dall’ironia e dalla cultura. Quando Valdo Magnani e Aldo Cucchi lasciarono il Pci dopo averlo accusato di essere un partito stalinista, Palmiro Togliatti li definì “pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa”. Aldo Moro descriveva Paolo Emilio Taviani in “operoso silenzio”. Fortebraccio, corsivista dell’Unità, bersagliava i socialdemocratici, “la fronte inutilmente spaziosa di Tanassi“; “arrivò una berlina, si aprì lo sportello, non scese nessuno: era Cariglia“. “La lite delle comari” tra Formica e Andreatta fu un pezzo di teatro colto.

I rampanti anni Ottanta provocano una degenerazione del linguaggio. Chiesero a Bettino Craxi: “Si dice che i socialisti abbiano voluto autoaffondare il governo”. “Chi lo dice è un coglione”. “Ma lo dice Altissimo“. E Craxi: “Allora è un Altissimo coglione”. Altissimo era Renato, il segretario del Pli. È nell’ultimo anno del settennato di Francesco Cossiga che avviene una cesura. Il Capo dello Stato definì Achille Occhetto uno zombie con i baffi. Se perfino al Quirinale c’è licenza di contumelia allora chiunque può sentirsi autorizzato a sbracare.

Nella Seconda Repubblica con Bossi e Berlusconi l’arte dell’insulto si fa più greve: “Bonazza, noi siamo sempre armati di manico”, così il Senatur si rivolse da un palco a una ministra socialista. E Berlusconi apostrofò Rosy Bindi “più bella che intelligente”. Poi con l’arrivo di Beppe Grillo si è smarrito definitivamente ogni senso della continenza. Prepariamoci al peggio.

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