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ROMA – Infastidito dal chiacchiericcio, sempre più convinto che sia prematuro (e persino controproducente) cominciare a giocare adesso la partita per il Colle – catalizzatore inevitabile di tensioni interne alle forze politiche e alla stessa maggioranza di governo – Enrico Letta insiste sul metodo: “Ora restiamo concentrati sulla legge di bilancio e la spesa dei fondi europei”, ribadisce con i suoi, invitandoli a schivare qualsiasi commento, che non sia di circostanza, sull’ultima esternazione di Giancarlo Giorgetti. “Poi, a gennaio, si parla di Quirinale”, rimarca il segretario del Pd. “Tanto quel che succede oggi restituisce solo una immagine: quella dei criceti nella ruota”. I piccoli roditori che amano girare a vuoto perché correre gli è indispensabile per mantenersi in vita: un po’ come i partiti, di centrodestra in particolare, spinti a muoversi in modo spesso scomposto per ritrovare la loro ragion d’essere dentro un esecutivo d’unità nazionale che riduce, oltre ai consensi, ogni spazio di manovra.
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E’ quindi un esercizio inutile, per l’inquilino del Nazareno, tutto questo affannarsi per individuare, con tre mesi d’anticipo e troppe variabili ancora da valutare, la soluzione a un rebus che pare ormai diventato il passatempo preferito dalla politica. Al quale Letta intende sottrarre il suo Pd. Non solo perché così si rischia di bruciare Mario Draghi mentre è necessario preservarlo da qualunque scossone, specie alla vigilia di una Finanziaria indispensabile per la ripartenza del Paese.
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Ma anche perché – è il sospetto – la proposta di spedire il premier al Quirinale da dove “potrebbe guidare il convoglio con un semipresidenzialismo del facto”, magari insediando a palazzo Chigi una specie di avatar (Daniele Franco o Marta Cartabia), nasconderebbe in realtà un regolamento di conti all’interno della Lega, sempre più divisa fra l’ala governista che tifa per la stabilità, e quella di lotta capitanata da Salvini, tentata invece di far saltare il banco. Una partita dagli esiti imprevedibili, che rischia di precipitare il Paese alle elezioni anticipate. Ragione in più per restarsene alla larga. “Un tema serissimo come la scelta del capo dello Stato”, taglia corto non a caso Enrico Borghi, deputato pd fra i più vicini al segretario, “deve essere sottratto al risiko delle convenienze politiche dei partiti e delle loro correnti”.
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Lo dice anche Pierluigi Bersani, che di Letta è amico, prima che alleato: “Fatevelo di legno il presidente della Repubblica, visto che della Costituzione non frega niente a nessuno. Faccio gli auguri a Giorgetti che ora ha il problema di rimodulare la Lega”. Perciò bisogna star fermi, in questa fase: verificare prima cosa succede nel fronte avversario, ma pure nel campo del centrosinistra largo, dove il voto sul capogruppo 5S in Senato ha reso palese che Giuseppe Conte fatica non poco a controllare i gruppi parlamentari. Un problema in più per il segretario dem, in vista della partita sul Quirinale. La cui strategia, adesso, è difendere il quadro attuale. E preparare il terreno per evitare che un’eventuale ascesa al Colle di Draghi non si risolva nella premorienza della legislatura.
Anche così si spiegano le barricate alzate dal Nazareno: “Il dibattito sul semipresidenzialismo è surreale, non sta in piedi”, fanno muro dalla sede nazionale. “Si tratta di una evidente sgrammaticatura istituzionale, quasi si potesse cambiare la Costituzione per prassi”, ragionano i Letta boys. “In concreto poi, nel sistema di governance vigente, è una questione fuori dalla realtà: basta un esempio per tutti, chi va al Consiglio Europeo? Il presidente del Consiglio, punto”. Le ingegnerie creative sulla pelle delle istituzioni, che oltretutto espongono l’Italia alle critiche della Ue, sono un giochino che il Pd respinge di netto. Probabilmente studiato ad arte dal centrodestra a trazione sovranista – è il timore diffuso – per accelerare le urne e così mettere al sicuro i consensi di cui quella coalizione ancora gode. “Se uno vuol tirare giù un governo, c’è la sfiducia in Parlamento”, dà di nuovo voce ai sospetti Bersani. “Non si manda qualcuno al Quirinale per andare a votare, come penso si voglia fare”.
E dunque, finché l’orizzonte non sarà più chiaro, fin quando cioè non si capirà quali sono le reali intenzioni di Draghi (ché se volesse salire al Quirinale, il Pd diventerebbe il suo sponsor principale) e quale governo alternativo potrebbe eventualmente portare a termine la legislatura, nel Pd non si muoverà foglia. “La politica fa il proprio dovere quando si occupa della soluzione dei problemi dei cittadini”, conclude Francesco Boccia. “Questo è il ruolo che si è dato il Partito democratico. Mentre gli altri parlano di Quirinale e totonomi per il Colle, noi diamo risposte agli italiani. E per noi le priorità sono l’approvazione della legge di bilancio con la riduzione delle tasse sul lavoro e l’attuazione del Pnrr”. La linea è tracciata. Indietro non si torna. Con buona pace dei criceti.