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ROMA – Non entrerà a gamba tesa nella sfida per il Colle. Non detterà pubblicamente condizioni per la sua permanenza a Palazzo Chigi, né convocherà di sua iniziativa i leader di partito per trattare una “promozione” al Quirinale. Mario Draghi ha scelto la strategia delle prossime due settimane: basso profilo. Parlerà di pandemia ed economia, ma si terrà alla larga dal dossier più scottante. E proverà a mantenere questo atteggiamento fino al giorno in cui si apriranno le urne per il nuovo presidente della Repubblica. Da cui dipende anche il suo destino.
Non ha alternative, non potrebbe fare altrimenti, non ci si candida a Presidente. C’è una forma da rispettare, pesano equilibri istituzionali da garantire. E poi, più pragmaticamente, esporsi significherebbe mettere a rischio non solo le ambizioni – peraltro mai negate – di diventare Capo dello Stato, ma complicare pure l’eventuale permanenza alla guida del governo. Ogni mossa scomposta, ogni atto verrebbero usati contro di lui. Sia chiaro: Draghi non è immobile, non lo sarà. Gestirà i rapporti con i leader, ma con discrezione. Infor-malmente ha comunicato a Matteo Salvini ed Enrico Letta che non resterà a Palazzo Chigi a qualunque costo, facendosi commissariare. Potrebbe continuare a governare, nel caso, solo a condizione di poter agire. Pubblicamente non aggiungerà altro a quanto già detto al Paese (e ai partiti) nella conferenza stampa di fine anno. Un appuntamento che fino all’ultimo avrebbe preferito evitare, che forse non ha giovato alla causa, ma che comunque è intenzionato a lasciarsi alle spalle.
Per Draghi, come è noto, l’intesa sul Quirinale dovrebbe essere da “unità nazionale” e accompagnarsi a un accordo su un profilo – non un nome, almeno ufficialmente, perché insulterebbe le prerogative del nuovo Capo dello Stato – per Palazzo Chigi. Il più gettonato, tra chi lavora a questo schema, è quello della Guardasigilli Marta Cartabia, che andrebbe a sostituire l’ex banchiere, a sua volta promosso al Colle. Ma esiste un enorme ostacolo a questo progetto: Silvio Berlusconi. Crede davvero all’elezione al Quirinale. Vuole che il centrodestra lo sostenga, quando sarà il momento. Minaccia sfaceli in caso di bocciatura. Potrebbe sfilarsi, a un certo punto, per contrattare il proprio futuro. Ma non prima che si schiudano le urne. E questa tempistica si sposa malissimo con lo “schema Draghi”.
Un accordo largo, infatti, prevede che si eviti la guerriglia del voto in Parlamento. Candidati bruciati, bocciature, franchi tiratori. Spaccature che renderebbero quasi impossibili successive ricuciture. Gli unici due capaci di siglare l’intesa sono i leader che hanno incontrato il premier nei giorni di festa: Salvini e Letta. È evidente che entrambi devono affrontare giganteschi ostacoli lungo il cammino. Il primo è legato alla fedeltà – quella ufficiale, quantomeno – al Cavaliere. Il secondo conosce la difficoltà di tenere assieme i gruppi parlamentari e la fragilità dell’alleanza con un Movimento dilaniato dalle tensioni tra Conte e Di Maio. I giallorossi hanno in programma nei giorni successivi all’Epifania un vertice a tre con Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza (a nome di Articolo 1). Uscirà un invito a individuare un alto profilo per il Colle e un appello e a evitare le elezioni anticipate. Lo stesso farà il centrodestra, guardando a Berlusconi.