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ROMA – Nella partita a scacchi per il Quirinale, Antonio Tajani difende il Re e prova a mettere in scacco alleati e avversari: “Se Draghi va al Colle si deve andare alle elezioni. Nessun’altra figura può unire la stessa maggioranza”. Parole pronunciate nello stile felpato del coordinatore di Forza Italia ma che lanciano un paio di messaggi chiari. Primo: per Tajani la migliore candidatura è quella di Silvio Berlusconi, e si sapeva. Secondo: a un tavolo comune Fi potrà sì valutare soluzioni diverse, e non esprime pregiudiziali su Draghi, ma non è disposta a ragionare a quel punto su un altro nome per Palazzo Chigi e sul prosieguo della legislatura.
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C’è dunque il no degli azzurri a un eventuale accordo che, per garantire all’ex banchiere la sicurezza del passaggio fra i Grandi elettori, contemplasse anche l’indicazione di un successore per la guida del governo. Per intenderci: no a un esecutivo Franco o simili. Anche perché negli ultimi tempi dentro Forza Italia, ma anche nel centrodestra, serpeggia freddezza nei confronti del ministro dell’Economia. Una perplessità che si è rafforzata dopo la proposta — poi caduta — del contributo di solidarietà per i redditi superiori a 75 mila euro. Fi e Lega, o almeno una qualificata rappresentanza dei due partiti, attribuiscono la paternità della contestata proposta proprio a Franco.
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Fatto sta che le premesse per intavolare una trattativa a largo raggio per il Quirinale non sono delle migliori. Draghi, qualora accettasse di candidarsi, ha bisogno di un accordo blindato e i leader dei partiti sanno che per ridurre i franchi tiratori occorre cancellare la prospettiva del voto anticipato. Ma Fi si sfila, e Lega e Fdi sono sulla stessa posizione: almeno tatticamente, pur non credendoci fino in fondo, sono pronti a sostenere finché necessario un portabandiera dello schieramento, ovvero Silvio Berlusconi, che ha ricevuto il sostegno anche del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa.
Silvio Berlusconi e Antonio Tajani
Ma il Centro è un cantiere aperto, è uno scrigno che potrebbe schiudersi con il tesoro necessario al prossimo Capo dello Stato. Italia Viva e Coraggio Italia continuano a lavorare per far asse, cercando di coinvolgere anche Azione di Calenda, altri pezzi della galassia moderata e +Europa di Emma Bonino. Dopo i contatti fra Matteo Renzi e Giovanni Toti, il campo di gioco è diventato il Senato: il capogruppo di Iv Davide Faraone, Gaetano Quagliariello per Coraggio Italia e Matteo Richetti di Azione hanno discusso a lungo, con l’obiettivo di creare un gruppo unico a Palazzo Madama con almeno 25 seggi.
Erano stati già definiti pure gli organigrammi: Faraone presidente del gruppo e Paolo Romani vice. Poi una frenata: Carlo Calenda non è particolarmente convinto, Matteo Renzi ai suoi dice che la strada è giusta ma è lunga. Si valuta intanto una federazione, come confermato ieri dallo stesso Quagliariello, ma non sono escluse novità a breve. Quel che è certo è che quest’asse, fra Camera e Senato, potrebbe esprimere fra i 70 e gli ottanta Grandi elettori. Renzi è convinto, l’ha già detto, che tale area potrà essere l’ago della bilancia. E intanto dice no a candidature di bandiera: “Siamo — ha detto il vicepresidente della Camera Ettore Rosato — per la più ampia condivisione. Non voteremo un candidato del centrodestra né del centrosinistra”. E la voglia di andare al voto, specie su questi lidi, è poca. Nomi nessuno ne fa ma c’è chi sottolinea l’amicizia di Renzi con Pierferdinando Casini.
Nel frattempo, però, l’ex Rottamatore deve fare i conti con le defezioni in Parlamento: quella del senatore Leonardo Grimani è la sesta dall’inizio dell’anno fra le fila di Iv e potrebbe essere seguita dall’addio di Silvia Vono. È il Centro delle alchimie e delle porte girevoli. Dove ieri ha debuttato anche il nuovo partito di Clemente Mastella, “Noi di centro”, con un invito a tutta l’area (eccetto Calenda) ad unirsi in una Margherita 2.0.