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Con la nascita del governo Draghi, voluto da Sergio Mattarella, i partiti sono stati, di fatto, commissariati. Hanno pagato il prezzo del loro fallimento, una legislatura nella quale sono caduti malamente due esecutivi di segno opposto e si sono bruciate tutte le formule politiche possibili. Ora, davanti al passaggio decisivo, l’elezione del presidente della Repubblica, tutte le forze parlamentari sono a un bivio: possono scegliere di chiudere questi cinque anni con un disastro in linea con le esperienze precedenti oppure riscattarsi e rilegittimarsi in vista della fine, comunque non lontana, della parentesi di unità nazionale.
Quirinale, Letta: “Un voto a larga maggioranza o finisce il governo. Berlusconi? No a candidati di bandiera”
30 Novembre 2021
La prova non è facile. È la prima volta nella storia della Repubblica in cui uno dei candidati più accreditati al Quirinale è il presidente del Consiglio in carica. Assecondare il suo legittimo desiderio di trasferirsi al Colle significa rischiare di precipitare il Paese in un pauroso vuoto di potere. D’altra parte, chiedergli di restare a Palazzo Chigi, come hanno fatto negli ultimi giorni quasi tutti i leader delle forze e politiche di maggioranza, significa però farsi carico di trovare una soluzione all’altezza e condivisa da tutte le forze che concorrono al governo. Perché a Draghi non si può chiedere al contempo di rinunciare all’elezione al Colle e continuare a governare per ancora un anno con una maggioranza già malferma di suo e per giunta squassata da un blitz presidenziale della sinistra contro la destra o viceversa. Quei partiti che hanno messo la stabilità in cima alle priorità per il 2022 devono muoversi coerentemente. Quindi, al netto delle fumisterie tattiche, anche qui le strade sono solo due: o un appello bipartisan che convinca Mattarella a restare in carica in nome di una emergenza non ancora superata o l’individuazione di un nome votabile da Conte, da Letta, da Di Maio, da Renzi, da Berlusconi, da Salvini e dagli altri piccoli azionisti della maggioranza. Il Mattarella bis è certo uno scenario rassicurante qualora il capo dello Stato ne prenda in considerazione l’attuazione, ma tra le ragioni che lo hanno spinto ad allontanarlo con pubbliche dichiarazioni c’è forse – oltre a questioni costituzionali care a un professore di diritto come Mattarella – anche il fastidio per il tatticismo e la fuga dalla responsabilità che ha fin qui animato il dibattito sulla ipotesi della rielezione. Un conto è una operazione di sistema che porti al bis, con il consenso generale che richiede, altro è evocarlo per nascondere l’incapacità di trovare un accordo condiviso su un nome, operazione che richiede intelligenza, pazienza e coraggio, tre qualità non diffusissime nel nostro panorama politico. Eppure è qui che si gioca la credibilità dei partiti, qui che possono dimostrare di potersi presentare al voto delle prossime politiche dichiarando chiusa la fase dell’unità nazionale e riaprendo quella della normale alternanza, come deve accadere in una democrazia sana.
Quirinale, Draghi pronto a governare fino al 2023. Salvini: “Lavora bene”
di
Emanuele Lauria
29 Novembre 2021
Pensare di lucrare sulle difficoltà che ciascuno dei due schieramenti ha al suo interno sarebbe una scelta miope, perché un terremoto che renda il Paese acefalo o instabile condanna chi vincerà le prossime elezioni a governare su macerie che né il centrosinistra né il centrodestra, tantomeno terzi e improvvisati poli, può pensare di affrontare con le sue sole forze. Il rischio è che i partiti si consegnino da soli allo stato di eccezione e all’ipoteca tecnocratica. Al contrario, un finale ordinato della legislatura, capace di archiviare con successo le due grandi sfide in corso, la lotta alla pandemia e la spesa dei fondi del Pnrr, e magari di introdurre modifiche necessarie al sistema istituzionale, permetterà ai partiti di riprendere quella sovranità della quale si sentono parzialmente defraudati. Non ci sono scappatoie, non ci sono scorciatoie. Serve la politica, quella vera. Per i partiti è la grande occasione: sul Quirinale si tratta, se perdonate la metafora banale, di fare un passo indietro oggi per farne due avanti domani.