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Referendum giustizia, cosa chiede il secondo quesito: stop al carcere preventivo per stalking, furti, rapine, violenza sessuale e reati fiscali

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ROMA – È uno dei “pezzi forti” del tam tam dei garantisti e – ovviamente – degli avvocati. Si tratta del netto “no” a mettere in carcere preventivamente, e cioè prima della condanna frutto di un processo, un indagato che potrebbe commettere di nuovo lo stesso delitto. Oggi, per via dell’articolo 274 del codice di procedura penale – che data al 1988, e fu firmato dall’allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, famosissimo avvocato, sui lavori della commissione ministeriale presieduta da un giurista e avvocato anch’egli del rango di Giandomenico Pisapia – è consentito mandare in carcere un indagato qualora ricorrano tre possibili rischi: l’inquinamento delle prove, il pericolo di fuga, la ripetizione dello stesso reato.

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Ed è proprio su quest’ultimo punto che agisce il referendum proposto dalla Lega e dai Radicali, e che gli elettori domenica si troveranno tra le mani con la scheda arancione, dove appunto viene proposto di cassare questa possibilità. Il quesito propone di cancellare questo capoverso dell’articolo 274 del codice di procedura, “se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti”.

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Un ex procuratore aggiunto di Roma come Nello Rossi, già mesi fa, in un articolo su Questione giustizia, aveva definitivo la sola ipotesi di questo referendum “un boomerang”. E ne aveva spiegate le ragioni che conviene qui ripetere. Perché se quelle poche righe del codice di procedura dovessero effettivamente essere cancellate, non ci potrebbero essere più arresti cautelari per furti e per rapine, per spaccio, per casi di stalking, o di ripetuta violenza sessuale, né tantomeno per i maltrattamenti in famiglia, ma pure per reati fiscali e finanziari. Tant’è che Rossi scriveva così: “Nell’ipotesi di successo del referendum, i potenziali autori seriali di gravi delitti contro la pubblica amministrazione, contro l’economia, contro il patrimonio, contro la libertà personale e sessuale (purché non commessi con violenza) e così via, saranno inattingibili da misure cautelari motivate sulla base di una prognosi di ripetizione degli atti criminosi per cui si procede penalmente”.

A norma cancellata, secondo Rossi, non potrebbero più essere “alimentate critiche feroci per le decisioni giudiziarie conformi al nuovo assetto cautelare disegnato dal referendum e non imprecando, alla prima occasione, contro il lassismo giudiziario incapace di impedire la prosecuzione di allarmanti attività delinquenziali. Molto più realistico immaginare invece che pubblici ministeri e giudici dovrebbero prepararsi a subire le ondate di malcontento generate da decisioni obbligate ma incomprensibili a vasti settori di opinione pubblica e che la giustizia italiana ne subirebbe un ulteriore pregiudizio di immagine e di credibilità”. 

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Una lettura che si ritrova nelle considerazioni del costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti, che pure ha già detto che voterà Sì a tre referendum (separazione delle carriere, via le firme per candidarsi al Csm, sì agli avvocati nei consigli giudiziari), ma che considera all’opposto “un pericolo” cancellare questa fetta della custodia cautelare.

È giusto ieri, sul quesito arancione, si è scatenata una polemica per via di alcune dichiarazioni alla stampa del  procuratore di Trieste Antonio De Nicolo, rilasciate dopo l’arresto di 38 persone per un sequestro di 4,3 tonnellate di cocaina: “Questi arresti non si potrebbero più fare” ha detto De Nicolo. E gli eventuali arrestati “dovrebbero essere rimessi in libertà con tante scuse del popolo italiano perché le misure cautelari cadrebbero tutte”. E poi una frase contestata da Riccardo Magi di +Europa. Dice De Nicolo: “Reati come il traffico di droga, a prescindere dalle quantità anche mostruose, non vengono eseguiti in violenza alla persona e quindi ricadrebbero nell’alveo abrogativo del referendum”.

Pronta la risposta di Magi che annuncia un esposto alla ministra Marta Cartabia e al Procuratore generale della Cassazione, entrambi titolari dell’azione disciplinare. Magi parla di dichiarazioni di “gravità inaudita”, di “informazioni false che possono condizionare il libero convincimento dei cittadini italiani sull’espressione del voto”. Le parole di De Nicolo sarebbero “false”, secondo Magi, perché il referendum “non eviterebbe affatto il ricorso alla custodia cautelare in casi di reati di criminalità organizzata, tantomeno di traffico internazionale come in questo caso”. Ma l’episodio dimostra come l’eventuale taglio del codice potrebbe essere letto in modo opposto.

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