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Sono l’ennesima generazione del clan Cordì. E come i nonni, i padri, gli zii prima di loro, soffocavano Siderno e i paesi limitrofi. O meglio, quando i parenti sono stati arrestati hanno iniziato a farlo con più violenza, aggressività, spudoratezza perché nella zona in cui il casato ha sempre controllato tutto – dagli ospedali al cimitero, dalla culla alla tomba – il messaggio doveva passare in modo chiaro: il dominio non era stato spezzato.
I 39 arrestati, quasi tutti ventenni
Trentanove persone, per lo più ventenni, sono state arrestate oggi dai carabinieri su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri e per ordine del tribunale. Tutti quanti sono a vario titolo accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, produzione, traffico e detenzione illegale di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi e munizioni, danneggiamento, estorsione pluriaggravata e trafficodi banconote false.
Una cosca feroce e spregiudicata
Per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che ha coordinato le indagini, sono i “cuccioli” di uno dei clan più antichi della Locride, la nuova generazione del clan Cordì. Feroce come la precedente, al pari spregiudicata, dedita ai medesimi “business”, ma pronta ad inaugurarne di nuovi: i “ragazzini” dei Cordì usavano i soldi accumulati grazie a traffico di cocaina e marijuana per produrre banconote false con cui hanno inondato l’Italia. Anche le somme estorte a una serie di imprenditori finivano in quel calderone.
“La Locride è nostra”
Ma quello – avvertono gli investigatori – nella Locride non si fa per arricchirsi. Rispetto ai milioni di euro tirati su con il traffico di droga sono spicci. Ma servono per marcare il territorio, per dire che la Locride rimane dei Cordì. Una terra in cui il clan non solo ha imposto la propria legge, ma si è imposto come legge. È a loro – hanno documentato le indagini – che vittime di reato o di ingiustizie si rivolgevano per aver ragione dei torti subiti. Nella Locride e non solo, per troppi – constatano gli investigatori – la giustizia dei casati di ‘ndrangheta è tuttora più rapida e affidabile di quella assicurata dalle istituzioni, nonostante sul territorio il clan si mostri con il suo volto più feroce.
Gli imprenditori denunciano la ‘ndrangheta
Lo sanno bene gli imprenditori che ne sono stati vittima. Dopo gli arresti che hanno fatto tabula rasa della vecchia guardia, la pressione si è fatta asfissiante. Le nuove leve del clan però hanno tirato troppo la corda, con le loro minacce e pressioni hanno portato una serie di imprenditori al punto di non ritorno. E sono stati denunciati. Nasce così l’indagine che poi ha permesso di ricostruire organigrammi e affari del clan, che aveva steso reti di traffico e spaccio che arrivavano fino a Catanzaro, Terni, Pavia, Udine.
La fabbrica di banconote false
E fermato quella vera e propria fabbrica di banconote false con cui stavano intossicando il mercato non solo in Calabria. Matrici vere, produzione in proprio, la cartamoneta dei clan era in tutto e per tutto identica a quella ufficiale. Solo un occhio estremamente attento ed esperto era in grado di individuare la contraffazione. E per questo – avvertono gli investigatori – era per gli affiliati uno straordinario strumento non solo per accumulare capitali, ma anche per riciclarli facilmente.