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Piacere, Marco Bucci, «Sindaco della Liguria». Non sono neanche arrivate le otto e mezza, nella serata dello spoglio infinito del voto ligure, e ai suoi il neo presidente della Regione già si presenta così. Autoronico fino a un certo punto, politicamente sgrammaticato, soprattutto (a questo giro per una manciata di voti e poco più) «vincente». Praticamente un manifesto della propria carriera politica, iniziata quasi per caso con la candidatura a sindaco di Genova del 2017 e culminata ieri sera vincendo una sfida che pareva impossibile, conquistando una Regione contro quasi tutto e quasi tutti.
All’exploit più inaspettato, Bucci è arrivato del resto mentre è ancora in cura per il melanoma che lo aveva portato a rifiutare la prima proposta di candidatura, ad agosto, quando prima della telefonata decisiva di Giorgia Meloni di metà settembre aveva detto «no» alle richieste del centrodestra locale. Il peso dell’inchiesta per corruzione che a maggio ha travolto l’ex governatore e sodale di sempre, Giovanni Toti, e lo stesso centrodestra, è un «ricordo lontano».
E così una partita che sembrava persa in partenza, sostenuta a debita, prudente distanza pure dai leader nazionali del fronte, è stata invece vinta in volata «perché ci ho messo la faccia – saranno le prime parole da presidente, nella festa genovese da sindaco e governatore insieme – e per fortuna le persone si ricordano delle cose belle e non quelle brutte, e i liguri si sono ricordati del ponte che ho ricostruito e non dell’inchiesta».
Il personaggio del resto è questo qui, un misto di testardaggine e di autocompiacimento per i successi raggiunti. «Il sindaco che urla», è soprannominato in Comune. «Poche parole tanti fatti», è stato per anni uno dei suoi mantra. Poca, pochissima cultura politica, dimostrata anche ieri tra invasioni di campo («Fossi Orlando farei un mazzo così a Conte e Grillo») e più o meno sincere ammissioni sul funzionamento del mondo in cui è capitato («Ho imparato molte cose nuove, tra exit poll e proiezioni, o come si chiamano»), ma una certa auto compiaciuta cultura del lavoro.
Ha pur vinto così, Bucci, la sua terza campagna in sette anni. Questa volta al termine di una campagna lampo: «quarantacinque giorni al cardiopalma», come li ha definiti, dal 12 settembre (il giorno del sì alla proposta) al primo evento vissuto al fianco della leader che l’ha scelto, tre giorni fa. E nel nome di una fama che ha perso colpi a Genova, dove Andrea Orlando ha vinto, ma ha retto nel resto della Liguria.
«L’uomo della ricostruzione», scandiva dal palco della chiusura di campagna Matteo Salvini, venerdì scorso. «L’uomo giusto», l’ha benedetto Meloni ancora ieri a vittoria portata a casa, definendolo «amministratore instancabile». «L’uomo delle sfide, sempre e comunque», lo racconta la moglie, Laura Sansebastiano, professione pasticcera. Diventata spin doctor a sua insaputa anche in questa campagna elettorale.
«Sfide» vinte anche da outsider, come nel 2017, quando Bucci fu il candidato sindaco di centrodestra a strappare per la prima volta Genova la rossa alla sinistra. O sull’onda della partecipazione popolare: accadde quando, tra il 2018 e il 2019, fu il sindaco-commissario della ricostruzione dopo il crollo del ponte Morandi, l’impresa che in questi anni a destra è diventata la cartolina elettorale buona per tutte le stagioni politiche: il lancio per la riconferma di Toti in Regione nel 2020, la riconferma di Bucci in Comune nel 2022, e ora la scommessa riuscita di Giorgia Meloni, che un mese fa lo ha convinto con una telefonata a tornare sui propri passi e accettare la corsa per il centrodestra.
«Una puntata della disperazione», l’ha definita anche qualcuno a destra, nel pieno dello stallo sulla scelta del candidato. «Che messaggio mandiamo, se l’unico che troviamo è in queste condizioni di salute». Eppure. Eppure l’ha spuntata, anche in barba alle cadute di stile di qualche avversario, proprio sul tema della malattia combattuta giorno per giorno. «Più faccio campagna elettorale, e meglio sto: faticare sul territorio rafforza le mie difese immunitarie», ha replicato lui.
Un’epopea, quella della narrazione pompata da destra del «sindaco del fare», «il sindaco più forte persino della malattia», il sindaco contro «I signori del no alle infrastrutture della sinistra» che ha pesato più di tutto il resto, certo più del terremoto giudiziario. «Io di cose giudiziarie non parlo, né parlerò mai: sono di scuola americana», ha ripetuto per sei mesi come un Fonzie alla ligure, quasi incapace di pronunciare la parola “inchiesta”. «Io ho il 300 per cento di fiducia nei magistrati ma io penso al futuro, e non al passato», ha confermato ieri appena eletto, a chi gli faceva notare la presenza di pochissimi totiani nella festa del suo point elettorale.
Una pietra sopra il tema cardine della campagna elettorale ligure, quella tangentopoli che ha portato agli arresti, alle dimissioni e al patteggiamento di Toti, che è stato per sette anni metà inseparabile del nuovo governatore. Una pietra sopra, in qualche modo, confermata dal voto dei liguri. «Abbiamo vinto per poco, poche migliaia di voti – è stato il primo messaggio lanciato ai naviganti, ieri sera – ora sta a noi e ai partiti discutere su come andare avanti: ci sarà da discutere, ma sappiano che qui comando io».
Da sempre allergico alle dinamiche di partito, la vittoria di Bucci a questo punto in fondo apre nuove partite. Nel contesto locale, perché la sua salita in Regione porterà a nuove elezioni in Comune a Genova la prossima primavera, ma in una città dove il voto ha detto chiaramente la maggioranza preferisce gli avversari del sindaco al sindaco stesso. E nel contesto nazionale, dove il primo set della partita d’autunno la tornata di elezioni regionali pareva dover essere terreno di conquista del centrosinistra, e invece è andata a destra. Ancora una volta. Nonostante tutto.