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Fra le meraviglie del probabile, l’incontro di Calenda e Renzi trasforma l’area centrale in quel Terzo Pollo o Pollaio che ciascuno facilmente immagina, con l’avvertenza che i volatili da cortile rappresentano una figura che ricorre nell’immaginario del potere all’italiana. Così se di Amintore Fanfani si disse tanti anni orsono che era “l’unico gallo in un partito di capponi”, oggi i galletti canterini sono due; e se come nel proverbio non si farà mai giorno, è perché tutti ormai dicono tutto e nessuno crede più a nulla.
Di questa sconsolata, ma in fondo pure divertente condizione di corale insincerità fa testo l’offerta che Matteuccio avrebbe fatto a Carletto: “Se vuoi, fai tu il premier” – e sarebbe stato bello poter assistere alla scena, alle facce, alle smorfie, ai gemiti e ai mormorii dei protagonisti.
Tocca quindi accontentarsi del celebre tweet “stai sereno” con cui Renzi liquidò il povero Letta e adesso anche del bacio con cui l’altro giorno Calenda ha solennizzato l’intesa con il medesimo Letta, la cui attonita espressione, anche in foto, è destinata a restare da monito per chiunque vorrà accordarsi con quei due giovani campioni d’infinocchiamento.
In ogni caso l’avifauna è centrista, e pare già d’avvertire il radoppiato richiamo sull’odierna scena, che vive di impegnative vibrazioni e scherzetti apparentemente futili, ma a loro modo esemplari e perfino preoccupanti. Nel primo campo rientra una recente confessione di Calenda: “Nella mia testa è come se avessi un motore che va a 300 all’ora, che ogni giorno quasi mi consuma con tutta la mia vita che rischia di andare fuori giri”. Nell’altro ambito, opportunamente metaforico, si rammenta che da gennaio Renzi ha deciso di fare la collezione di spillette di partito; il punto è che scherzosamente, ma platealmente se ne rifornisce staccandole con destrezza dall’occhiello delle altrui giacche.
Cantiere terzo polo, Renzi incontra Calenda: “Non finirò come Letta”
di
Giovanna Casadio
,
Lorenzo De Cicco
Ciò detto, con necessaria essenzialità si possono ricostruire i pregressi rapporti fra i due, da Calenda definiti “scoppiettanti”. Grosso modo, Renzi ha, se non scoperto, certo lanciato nel mondo del potere il futuro alleato e rivale anche se presto, com’era abbastanza ovvio, se n’è dovuto pentire. Questo l’ha portato a evocare, qualche mese fa, la “sindrome rancorosa del beneficato”. Con tali premesse le differenze politiche e progettuali, per così dire, appaiono trascurabili. Se Calenda si ritiene più fresco, Matteo esterna una sospetta superiorità tipo: “Carlo, non è cattivo, quando è tranquillo è un piacere parlarci; quando invece si lancia in previsioni da Divino Otelma…”.
Nel complesso, per una serie di ragioni che hanno più a che fare con l’analisi sullo stato di dissoluzione della classe politica che con alterigia e schizzinosità del giudizio, è difficile prendere entrambi sul serio; mentre fin troppo facilmente viene da collocarli nell’ordine dei leader di breve consumazione, narcisi pasticcioni, un po’ bulletti autolesionisti, un altro po’ bambini permalosi e capricciosi. Fra i due estremi, senza nulla togliere a un indubbio slancio, una sicura empatia e una invidiabile vitalità, sembrano figli e insieme prigionieri di questa epoca in cui la politica ha smarrito il senso del bene comune, del servizio collettivo, della lenta e faticosa risoluzione dei problemi.
In nessun altro come in Renzi e Calenda, così come nel loro eventuale e approssimativo abbraccio si misura il trionfo, il primato e la supremazia, ma poi anche la trappola e la dittatura dell’ego. Da ex ragazzi prodigio, senza troppe colpe individuali, il destino li ha portati, anzi spinti a farsi attori, personaggi, maschere a rischio macchiette. Come tali esagerano, ma sdegnano le critiche; immersi nell’assoluto presente, non riconoscono le lezioni della storia né riescono ad azzeccare il domani. In definitiva si assomigliano troppo per non sentirsi in competizione. Sembra una faccenda esclusivamente loro, ma purtroppo riguarda tutti (chicchirichì!).