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In Italia i trial clinici no profit, cioè svolti negli ospedali pubblici o in enti senza scopo di lucro, nei dieci anni tra il 2009 al 2019 sono diminuiti del 51%. A dirlo è Fadoi, la Federazione degli internisti ospedalieri. “I tempi troppo lunghi della burocrazia erano e sono un fattore che limita la partecipazione dell’Italia ai trials clinici”, spiega il presidente Dario Manfellotto. “Nel nostro Paese si conducono ogni anno 4,6 studi ogni 10mila abitanti, in Germania sono 5,6, in Spagna e Francia 6, in Gran Bretagna 6,8, in Olanda 16,7, per non parlare del record danese fissato a 25,5. A causa di questo gap ci rimettono soprattutto gli assistiti, perché dove si fa ricerca ci si cura anche meglio”.
Il convegno
Fadoi ha organizzato il convegno “Ricerca clinica, il cambiamento è oggi?”. Gli ostacoli sono appunto la burocrazia, i finanziamenti scarsi e il personale carente e “norme sulla privacy che rendono quasi impossibile la gestione dei dati. Così si perde il treno dell’innovazione in campo biomedico, che solo nel settore farmaceutico a livello globale vale mille miliardi di dollari, che le grandi multinazionali hanno programmato di investire da qui al 2025”.
L’importanza della ricerca clinica
Dalla federazione spiegano che i due anni e mezzo di Covid, quando gli internisti hanno seguito il 70% dei pazienti, hanno fatto comprendere quanto è importante la ricerca clinica. Il punto è che il lavoro viene fatto soprattutto dalle aziende private e non nel pubblico. “Dove si fa sperimentazione clinica – aggiunge Manfellotto – solitamente arrivano prima anche i farmaci innovativi e si diffonde più rapidamente la loro conoscenza tra i medici che possono poi utilizzarli al meglio”. Il direttore scientifico di Fadoi, Gualberto Gussoni, aggiunge che “a uscirne più penalizzata è poi proprio la ricerca indipendente no profit, che se nel 2018 si attestava al 27,3% del totale delle sperimentazioni condotte in Italia, l’anno successivo ha avuto una contrazione al 23,2%. Una ricerca nella quale tra l’altro il 90% degli investimenti che ne consentono lo svolgimento è sostenuto da privati”.
Carenza di personale
Riguardo ai problemi, si insiste sulla carenza di medici e infermieri, che oberati da compiti assistenziali non hanno tempo per dedicarsi anche ai trial clinici. “Per non parlare delle figure professionali dedicate alla ricerca ancora senza un inquadramento professionale ed economico definito, tanto che alcuni sono inquadrati come personale di segreteria”. Riguardo alla burocrazia, si ricorda come da noi negli ultimi otto anni siano stati fatti una ventina di provvedimenti normativi, mentre in spagna è in Spagna stritolare non poco la ricerca c’è poi la burocrazia. In Italia a regolamentarla negli ultimi otto anni si sono affastellati una ventina di provvedimenti normativi, solo per citare quelli principali. In Spagna la fonte è un solo decreto di 42 pagine. Ad appesantire il tutto intervengono inoltre le norme sulla privacy che trasformano in una impresa la gestione dei dati clinici. “Basti pensare che per gli studi osservazionali retrospettivi, nei quali i dati delle cartelle cliniche vengono aggregati in modo anonimo e quindi non riconoscibile, il Garante della privacy chiede di norma l’autorizzazione specifica di ciascun paziente. Magari per dati vecchi di anni”.
Al congresso è intervenuto il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. “Abbiamo una commissione che si occupa delle autorizzazioni dei trial di Fase I. Nel 2021 sono state 134 le autorizzazioni, in aumento visto che il dato migliore era 111 nel 2017. E’ una ‘good news’, ci fa piacere e ci deve stimolare a fare di più”, ha detto: “Stiamo investendo nella ricerca con risorse interne per sviluppare idee, ma anche nella regolazione nel dare pareri dove richiesti che aiutino il decisione a prendere la decisione migliore dal punto di vista della sanità pubblica, ma siamo impegnati nella informazione”.