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Risoluzione sulle armi, Conte e Salvini agitano il governo: Draghi il 21 giugno alla prova dell’Aula

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Cosa vuole davvero Giuseppe Conte? Ai piani alti del governo non l’hanno ancora capito. Ci hanno provato, hanno avviato con largo anticipo i contatti in vista del voto parlamentare del 21 giugno, ma finora dal Movimento 5 Stelle hanno ricevuto solo risposte ambigue. L’obiettivo a Palazzo Chigi è svelenire il clima, evitare che le comunicazioni del premier Mario Draghi in vista del Consiglio europeo di fine mese si trasformino in una sorta di referendum parlamentare sul tema: armi all’Ucraina sì, armi all’Ucraina no. Sarebbe un referendum sulla vita stessa del governo: una spaccatura in maggioranza aprirebbe la crisi. Per carità, assicura Conte dalle piazze elettorali, “non vogliamo far cadere il governo”. Ma il vicepresidente M5s Mario Turco proprio quello dice: “Con la risoluzione” di maggioranza che accompagnerà le comunicazioni di Draghi “vogliamo dire basta all’invio delle armi”. E poiché sul Movimento nella prossima settimana pendono la sentenza di Napoli sulla validità dello statuto e il verdetto delle amministrative, con che animo Conte arriverà al 21 giugno è difficile dire. Anche perché Matteo Salvini, osservano preoccupati dal Pd, “è entrato in modalità Papeete”. Se non si maneggia con cura la risoluzione, rischia di saltare il banco.

Quale sia il clima in casa Cinque stelle lo rivela forse un tweet di Beppe Grillo. Criptico, alla sua maniera. Ma poi non troppo. “Neolingua: verde”, scrive. E sotto una combo fotografica in verde di una centrale nucleare, una pompa di benzina, un mitra, un carro armato e un giornale. Pare dire: sotto il manto verde delle buone intenzioni si celano i finti pacifisti-ambientalisti. Un attacco nello stile del Movimento delle origini. Una copertura politica forte per una eventuale battaglia parlamentare. L’obiettivo, si sgola Conte, non è però abbattere Draghi, ma “rafforzarlo nella direzione giusta”. Ossia? “Basta riarmo ed escalation militare, l’Ucraina è ben armata: vogliamo che Draghi sia protagonista in Europa non per proporre la pace, ma per imporla”, risponde tra gli elettori di Somma Vesuviana, in uno dei territori dove il M5S spera di reggere un po’ meglio che altrove la botta elettorale. Ma in concreto, che vuol ottenere?, se lo chiede anche la truppa parlamentare che si fida delle rassicurazioni di Luigi Di Maio e non seguirebbe il leader sulla via dello strappo. Al quartier generale M5S assicurano che quando, dopo le amministrative, partiranno le trattative parlamentari sul testo della risoluzione, si cercherà un punto di caduta in maggioranza, un “equilibrio non facile”. Ma Turco al telefono tiene il punto. “Vogliamo un cambio di prospettiva rispetto alla risoluzione di marzo: chiediamo di dire basta all’invio di armi e aprire un tavolo permanente di pace per avviare un negoziato”.

Draghi in Senato il 21 giugno. M5S: pronti al voto sulle armi

di
Lorenzo De Cicco

28 Maggio 2022

Al Pd si dicono convinti che alla fine si arriverà a una mediazione: una formulazione del testo che ponga l’accento sulla pace senza citare le armi, potrebbe mettere d’accordo tutti. Ma la mediazione, dicono al Nazareno, “può avvenire solo su una linea ragionevole, nel solco dell’unità nazionale indicata da Mattarella e realizzata da Draghi”. E a Palazzo Chigi non si stancano di ripetere che il punto fermo è soltanto uno: il governo agisce nel quadro delle alleanze internazionali, la Nato e l’Ue. L’impegno per la pace è forte, ma non si può tornare indietro sul sostegno alla difesa di Kiev. “Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina, così come abbiamo fatto, insieme agli altri Paesi europei e alla Comunità internazionale in questi 100 giorni” di guerra e “nel contempo rafforzare tutte le ipotesi di confronto per arrivare a far cessare le ostilità e impostare un negoziato vero”, sintetizza il ministro della Difesa dem Lorenzo Guerini

A non lasciar tranquilli c’è però il fattore urne. E la variabile – “già impazzita”, dice un Dem – Salvini. Non è un caso se Giancarlo Giorgetti ha accomunato il suo segretario al leader M5S, nel mettere in guardia dai rischi del voto del 21 giugno. E se anche Antonio Tajani avverte che non si può mettere a rischio il governo. Finora Salvini, ricordano anche dal M5S, non ha seguito Conte sulla via dello stop alle armi. Ma alla chiusura dei seggi il 12 giugno dovrà fare i conti con l’ala moderata del partito, capeggiata dai governatori, che si è apertamente smarcata dal suo tentativo di viaggio a Mosca e, soprattuto se il risultato sarà deludente, proverà a imbrigliarlo su una linea più governista. La risoluzione sull’Ucraina sarà il primo banco di prova. “Basta armi, all’Italia conviene la pace”, dice da Buccinasco Salvini. E attacca Di Maio, Renzi, Letta. Ma sbaglia il bersaglio, afferma Enrico Borghi: “Abbia il coraggio di dire Putin!”. Il timore è che non siano solo parole urlate al vento delle urne.

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