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Repubblica dedica uno spazio fisso alle morti sul lavoro. Una Spoon River che racconta le vite di ciascuna vittima, evitando che si trasformino in banali dati statistici. Vite invisibili e dimenticate. Nel nostro Paese una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e “Morire di lavoro” vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica fino a quando avrà termine questo “crimine di pace”.
“Chiunque volesse fare un ultimo saluto al nostro caro Roby Chelariu, può venire lunedì all’obitorio dell’ospedale di Parma dalle ore 11:00 alle ore 12:00, da lì ci sarà poi la partenza verso la Romania per il funerale. Grazie a tutti. La sua famiglia”. Lo ha scritto sui social Bianca, sorella di Roberto Chelariu. Tra le prime risposte, quella di Chiara: “Carissimo Roberto, la notizia della tua scomparsa ci ha lasciato sgomente. Ti ricorderemo sempre per la tua dolcezza e grande tenacia. Siamo vicine alla tua famiglia. Sentite condoglianze. Le maestre Claudia e Chiara”. Le radici di Roberto erano a Borsa, in Transilvania (Romania), ma la sua vita era a Collecchio, nel Parmense. Quanto fa male leggere quei messaggi in questi giorni di indegne polemiche su ‘ius scholae’, ‘ius soli’, ‘ius sanguinis’, ‘ius chi più ne ha più ne metta’: che senso ha nel 2024 parlare di patrie e confini? Nulla di tutto questo ha un senso, come non lo ha la morte di Roberto: operaio ventenne rimasto folgorato in un cantiere edile di una villa a Collecchio.