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Salario minimo, favorevole l’86% degli italiani. Gli effetti economici della guerra spaventano

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Tra le preoccupazioni percepite dagli italiani si fanno largo i timori per gli effetti economici della guerra. Redditi bassi e precarietà sono tra le principali paure che accomunano i cittadini e che, di conseguenza, spingono il consenso verso un misura tornata in auge nel dibattito pubblico: il salario minimo. Un provvedimento che, secondo un’indagine condotta dall’Istituto di ricerche Swg, riscuoterebbe il consenso dell’86 per cento degli intervistati. Una percentuale in crescita, fotografata dall’istituto demoscopico insieme al crescente timore verso le basse retribuzioni e il lavoro precario. La paura di un reddito insufficiente, infatti, tocca il 37 per cento degli intervistati, collocandosi al primo posto tra le preoccupazioni sondate dall’istituto demoscopico. 

“L’aumento dei prezzi e l’inflazione fanno sì che il tema delle retribuzioni sia ancora più sentito rispetto al passato”, spiega Rado Fonda, head of research di Swg. Riguardo il proprio futuro, il 32 per cento degli intervistati si dice preoccupato dal lavoro precario, mentre più di un cittadino su tre teme che l’Italia diventi un Paese caratterizzato da “grandi ingiustizie sociali”. Non è un caso, dunque, che gli italiani guardino con minor ottimismo al proprio futuro (-3 per cento rispetto a maggio 2021) e che dunque cresca anche il consenso nei confronti di misure in grado di aumentare il tenore di vita. 

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E’ in questo contesto che va letto il dato sul salario minimo. Circa la metà dei lavoratori considera troppo bassa la propria retribuzione. Tra loro spiccano soprattutto le donne: si dice insoddisfatto il 54 per cento delle intervistate. Un provvedimento che, da destra a sinistra, trova riscontro positivo negli elettorati dei principali partiti. Si dichiara favorevole il 92 per cento dei sostenitori del Pd, il 91 del Movimento 5 stelle, l’84 di Fratelli d’Italia e l’80 per cento della Lega. Nonostante forte il consenso riscontrato tra gli elettori, la maggior parte degli intervistati, sempre secondo il sondaggio Swg, non associa la battaglia sul salario minimo ad alcun partito in particolare. Chi lo fa indica soprattutto il M5s e il Pd, ma con percentuali abbastanza basse: rispettivamente del 21 e del 13 per cento. 

A che punto è la legge 

In Parlamento si sta già affrontando la questione. In Commissione Lavoro al Senato sono in discussione sei diverse proposte di legge sul salario minimo. Il testo firmato da Nunzia Catalfo, ex ministra del lavoro pentastellata, punta ad introdurre una soglia minima di circa 9 euro l’ora. Mentre le proposte di Pd e Leu, in linea generale, non stabiliscono una cifra fissa come nel ddl Catalfo, ma rimandano ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali stipulati –  si legge – dalle organizzazioni di categoria “più rappresentative sul piano nazionale”. Intorno alla misura, dunque, seppur con le dovute differenze, si registra una convergenza di fondo tra i partiti del centrosinistra: Pd, M5s e LeU.

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Anche il governo, attraverso il ministro del Lavoro dem Andrea Orlando, si è detto favorevole all’introduzione di una forma di salario minimo. Secondo quanto riferito da Orlando, l’ipotesi da percorrere sarebbe quella di prendere come punto di riferimento la retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva, anziché fissare una soglia unica per legge. Quella avanzata dal ministro è una proposta che è riuscita ad incassare l’ok dei sindacati e delle associazioni datoriali. Anche l’Unione Europea sta per approvare una Direttiva ad hoc sull’introduzione del salario minimo. Ci si muove nella stessa direzione del ministro del Lavoro. Il provvedimento, infatti, non indicherà una soglia di retribuzione fissa, ma stabilirà una sorta di ‘cornice’ entro cui gli Stati membri potranno muoversi. Al momento su 21 Paesi su 27 hanno già introdotto una forma di salario minimo nel loro ordinamento (la Germania intende portarlo da 9,82 a 12 euro l’ora). All’appello mancano solo sei Paesi: Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia, Svezia e, infine, l’Italia. 

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