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Salmaso: “Una prima dose vale più di una terza. I non vaccinati vanno convinti uno a uno”

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“Benissimo le terze dosi. Ma sarebbe più efficiente cercare di raggiungere e convincere chi non ne ha fatta neanche una”. Stefania Salmaso fa parte dell’Associazione italiana di epidemiologia ed è stata direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità. La proposta di provare a contattare e persuadere chi non si è vaccinato è stata lanciata pochi giorni fa in un documento di raccomandazioni dell’Associazione Italiana di Epidemiologia. 

Stefania Salmaso 

In che modo si potrebbe far vaccinare chi ancora non l’ha fatto?

“Dubito che gli 8 milioni di non vaccinati in Italia siano tutti ideologicamente No Vax. Non credo ad esempio che lo siano i 230mila ultra 80enni che mancano all’appello. Ho l’impressione  invece, anche sulla base di un’indagine condotta dalla Ats milanese, che molti non vaccinati non abbiano accesso agli strumenti informatici necessari per prenotarsi, siano stranieri che non conoscono bene la lingua o abbiano titubanze che possano essere superate con una chiamata diretta”.

Cosa intende per chiamata diretta?

“Un medico o un sanitario del servizio di prevenzione della Asl dovrebbe chiamare la persona da vaccinare e aiutarla a superare le difficoltà pratiche o le titubanze. Mi rendo conto che il mio auspicio si scontra con la mancanza di personale dei servizi di prevenzione. Con i contratti a termine stipulati per la pandemia scaduti il 31 ottobre, poi, la situazione non può che peggiorare. Però nel caso delle vaccinazioni per l’infanzia questo è il metodo che si segue, e che funziona meglio”.

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Intanto però ci sono le terze dosi da fare.

“Certo, è giusto farle. Ma dal punto di vista epidemiologico è più vantaggiosa una prima dose di una terza. La prima dose ci regala un salto di protezione dallo 0% al 90%. La terza dose nel migliore dei casi dal 50% al 90%. I richiami poi insistono sempre sullo stesso gruppo di persone, già immunizzate. Bisognerebbe sforzarsi di allargare la categoria dei nuovi vaccinati con un lavoro più capillare, ampliando le modalità dell’offerta. Ho l’impressione che una parte di quelle persone che chiamiamo No Vax siano semplicemente degli svantaggiati. Il problema della disuguaglianza non si pone solo fra i paesi ricchi e quelli a basso reddito. Ma anche all’interno delle nostre società.  Inoltre è utile fare mente locale anche sui diversi rischi da Covid per età, raggiungendo presto chi è a maggior rischio. In base all’incidenza e ai dati osservati nel mese di ottobre, se avessimo raggiunto 367 soggetti, tra le 235.000 persone over 80 non ancora vaccinate, avremmo evitato almeno un contagio; con 783 somministrazioni avremmo evitato un ricovero e con 1.365 vaccinazioni tra gli over 80 non vaccinati avremmo evitato un decesso. Facendo gli stessi calcoli per le terze dosi, il numero di persone da rivaccinare per ottenere gli stessi risultati è maggiore fino a 10 volte. 

Stiamo chiamando in causa i medici di famiglia? 

“Potrebbero essere incentivati, anche qualora non facciano le iniezioni direttamente. Alcuni medici non hanno i frigoriferi adatti o le strutture per vaccinare nei loro studi, ma si potrebbero fissare degli obiettivi, come ad esempio la percentuale dei propri assistiti che è stata immunizzata”. 

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A Natale probabilmente si partirà con i bambini e si sta studiando una campagna di informazione ad hoc. Servirà? 

“Se è fatta con i poster per le strade, dubito. Sembra che le donne si siano vaccinate meno degli uomini, forse perché più preoccupate dalle vicende legate ad AstraZeneca, e che da madri oggi potrebbero restare esitanti. Né servirà dire che vaccinando i bambini salviamo gli adulti perché riduciamo la circolazione del virus. Bisognerà portare i dati che dimostrano che anche i più piccoli ricevono un beneficio diretto, perché in alcuni casi il Covid li costringe al ricovero, in altri possono essere colpiti dalla sindrome infiammatoria multisistemica che segue il contagio”. 

Non si dice sempre che i bambini sono colpiti in modo lieve? 

“Con la prima variante in circolazione lo scorso anno sono stati segnalati meno casi tra i bambini, ma ora le fasce di età più giovani sono colpite al pari delle altre.  Negli Stati Uniti uno degli argomenti a sostegno della raccomandazione per la vaccinazione per l’infanzia è stato proprio questo: il Covid è rientrato fra le prime dieci cause di morte nei bambini e 5.300 piccoli pazienti hanno sviluppato la sindrome infiammatoria multisistemica. Anche noi dovremmo comunicare i dati in modo chiaro, per aiutare i genitori a decidere. Finora non lo abbiamo fatto abbastanza. Prendiamo l’esempio del vaccino contro il meningococco B. E’ una malattia rarissima. In Italia colpisce una trentina di bambini all’anno. Ma anche con numeri così piccoli, spaventa molto. E molti genitori accettano di fare quel vaccino proprio perché vi vedono un beneficio chiaro. Per quanto riguarda gli adulti, sarebbe molto efficace comunicare quanti contagi e quanti ricoveri riguardano vaccinati e non vaccinati, per far capire che si tratta di due epidemie che stanno seguendo traiettorie  diverse. O anche spiegare che i vaccinati che hanno bisogno del ricovero sono più spesso anziani con altre condizioni di rischio, mentre fra i non vaccinati le forme gravi possono colpire anche persone più giovani. Sono dati che farebbero capire immediatamente quali sono i benefici dei vaccini”. 

Come giudica invece l’obbligo? 

“Con i bambini ha funzionato. Con il Covid potrebbe anche essere opportuno – e basta con la bufala che questi sono vaccini sperimentali – ma questo non vuol dire che sia giusto. In teoria sembra la scorciatoia per arrivare ad una completa adesione, ma ci sono diversi punti anche organizzativi da chiarire, ad esempio chi controlla. Cosa facciamo, andiamo a casa di tutti gli 80enne non vaccinati? E per punirli come? Allora andiamoci adesso, a casa di quegli anziani, e facciamo uno sforzo per convincerli, prima di gettare altra benzina sul fuoco arrivando alla scelta dell’obbligo”.

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