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Nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per problemi economici, problemi di offerta – come le liste d’attesa troppo lunghe – o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Si tratta del 7,6% della popolazione italiana, contro il 7% del 2022 e al 6,3% del 2019, l’anno pre pandemia. Lo evidenzia il Cnel rilanciando alcuni contenuti della Relazione 2024 sui servizi pubblici pubblicata lo scorso ottobre.
“Vi è stata – spiega il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro – una tendenza al peggioramento, a prescindere dall’eccezionalità del 2021, quando le conseguenze legate al Covid-19 fecero incrementare il valore fino all’11%”. I dati mettono in risalto che la fascia d’età in cui le rinunce sono massime è quella tra i 55 e i 59 anni (con l’11,1%), mentre la regione con il dato peggiore è la Sardegna (13,7%), seguita dal Lazio (10,5%).
Il Cnel torna sul tema anche con dati di dettaglio. La quota di cittadini che ha rinunciato a visite mediche (escluse quelle odontoiatriche) o ad accertamenti sanitari è massima nella fascia di età 55-59 anni, è più bassa ma comunque elevata tra gli anziani over 75 (9,8%) e minima tra i bambini fino ai 13 anni (1,3%). Emerge poi uno svantaggio delle donne, con il 9% contro il 6,2% degli uomini.
La quota più alta di rinuncia si registra al Centro (8,8%), mentre nel Mezzogiorno è pari al 7,7% e al Nord al 7,1%. Il dato peggiore, dopo Sardegna e Lazio, è quello delle Marche (9,7%). All’opposto si collocano il Friuli-Venezia Giulia, le PA di Bolzano e Trento, Emilia Romagna, Toscana e Campania, con valori inferiori al 6%.
Le rinunce per motivi economici sono rimaste sostanzialmente stabili tra 2019 (4,3%) e 2023 (4,2%) e sono passate in secondo piano negli anni del Covid-19 (circa 2,9%). Invece sono aumentate in maniera significativa le rinunce dovute alle lunghe liste di attesa, passate negli stessi anni dal 2,8% nel 2019, al 3,8% nel 2022 e al 4,5% nel 2023. Queste dinamiche sono influenzate dall’esperienza del Covid-19, che ha costituito una barriera all’accesso ai servizi sanitari sia nel 2020 (il 4,9% della popolazione ha dichiarato almeno una rinuncia per tale motivo), che nel 2021 (5,9%) e le cui conseguenze sono scemate nel 2022 (1,2%) e si sono esaurite nel 2023 (0,1%).