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Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, “scivola” sul decreto per la valorizzazione dei docenti pendolari. E il Cspi, il Consiglio superiore della pubblica istruzione, lo rimanda a settembre. Quello che il ministero si appresta a pubblicare potrebbe essere uno dei suoi ultimi atti prima delle elezioni che si svolgeranno tra meno di un mese e del passaggio di consegne tra l’attuale esecutivo e il successivo. E uscire di scena con una bocciatura non è certamente onorevole. Il tempo per correggere quello che appare come un provvedimento scritto troppo in fretta c’è. Perché, spiega il presidente del più importante organo collegiale dell’istruzione italiana, Francesco Scrima, “trattandosi di pareri obbligatori, ma non vincolanti, l’amministrazione può recepire le nostre osservazioni in toto o in parte motivando le proprie scelte”. Ma potrebbe anche andare per la propria strada.
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Un decreto che non funziona
Al centro della questione la bozza del decreto ministeriale a firma dell’inquilino di viale Trastevere che dovrebbe tradurre e rendere operativa la “valorizzazione del personale docente che garantisca l’interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica“. Una indicazione contenuta nel decreto-legge dello scorso 30 aprile, poi tradotto in legge, che a maggio ha portato in piazza quasi 200mila docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) contro le proposte di formazione iniziale dei futuri insegnanti e nuovo reclutamento. Fuori dal burocratese, per limitare il più possibile i trasferimenti dei docenti da una scuola all’altra, che spezzano la cosiddetta continuità didattica, il governo Draghi ha pensato a un premio in denaro per gli insegnanti che restano nella medesima scuola per più anni. A disposizione ci sono 30 milioni da ripartire alle scuole.
La bocciatura
Per l’anno scolastico 2022/2023 le modalità di distribuzione delle risorse disponibili e i requisiti di coloro che potranno essere premiati devono essere stabiliti da un decreto del ministero dell’Istruzione che il Cspi ha bocciato. Ecco perché. Nel parere espresso lo scorso 25 agosto l’assemblea dei rappresentanti del mondo della scuola, pur condividendo “la volontà del legislatore di riconoscere adeguato valore alla continuità didattica, educativa e progettuale a garanzia dello sviluppo personale di ciascun allievo”, non può fare a meno di osservare che il provvedimento entra nel merito di questioni squisitamente sindacali: la mobilità per personale. E teme “che lo schema di decreto in esame risulti poco efficace e foriero di contraddizioni e problematiche per il personale e per la scuola. Il rischio – scrivono – è quello di introdurre misure inefficaci rispetto ad un obiettivo di gran rilievo”. Soprattutto per gli alunni più fragili. Perché sono i docenti di sostegno quelli maggiormente soggetti ai trasferimenti da un anno all’altro.
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Le incoerenze
L’ipotesi di valorizzare i “docenti di ruolo – si legge nel decreto – residenti o abitualmente domiciliati in un comune diverso da quello in cui ha sede l’istituzione medesima che non hanno ottenuto il trasferimento”, ma che magari hanno chiesto di spostarsi, fa venire meno la volontà da parte dell’insegnante di garantire la continuità didattica ai propria alunni. Perché quindi premiarlo? Ma non solo. Ci sono gli insegnanti trasferiti d’ufficio, perché su sede provvisoria o in sovrannumero, che verrebbero esclusi dal riconoscimento. E quelli residenti in comuni dove mancano istituzioni scolastiche relativo al grado in cui prestano servizio che verrebbero premiati loro malgrado. In più, basterebbe un solo anno di permanenza nella stessa scuola per ottenere il premio.
“Il provvedimento – prosegue il parere – non fa poi alcuna distinzione tra comune e provincia di residenza del docente rispetto a quella in cui ha sede la scuola, per cui lo stesso incentivo verrebbe riconosciuto a chi è residente nella stessa provincia (ma non nello stesso comune) e a chi è residente fuori provincia”. Senza fare alcuna distinzione fra situazioni che prevedono livelli di “sacrificio” ben diversi. E “non riconosce adeguata centralità alla valorizzazione del personale docente in servizio presso le scuole caratterizzate da valori degli indici di status sociale, economico e culturale e di dispersione scolastica” che denotano situazioni di deprivazione e criticità perché legano quest’ultimo aspetto alla permanenza nel medesimo istituto. “Tale criterio – conclude il Cspi – per la valorizzazione dovrebbe prescindere dalla residenza del docente, mentre il decreto collega entrambi gli aspetti e ne condiziona l’applicazione”. Insomma, un pasticcio che potrebbe richiedere l’integrale riscrittura del decreto prima della sua pubblicazione.