[ Leggi dalla fonte originale]
Il tentato blitz di Forza Italia, con un emendamento a sorpresa, è spazzato via subito dal passaggio mattutino tra ministro Nordio e il capogruppo Barelli alla Camera. Non ci si può spaccare anche sulla separazione delle carriere in magistratura: solo perché Fi ha a cuore di escludere i membri laici dal sorteggio in Csm, mentre peraltro il sistema dei dadi rimarrebbe comunque per i togati. No alle divisioni durante il giubilo bipartisan per il ritorno a casa di Cecilia Sala.
Alla Camera arriva la riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati. Csm contrario
Così, nel giorno in cui approda in aula il ddl di revisione costituzionale, la maggioranza vanta prove di compattezza, respinge subito la pregiudiziale di costituzionalità posta dai 5 Stelle (con 165 voti contrari e 93 favorevoli), vede rosa nel complesso dei lavori. «Abbiamo ricomposto la dialettica interna. Il provvedimento deve essere blindato», conferma il Guardasigilli, «deve procedere in assoluta armonia». Per questo non piace che, nelle stesse ore, al Consiglio superiore della magistratura, i togati di destra, di sinistra e di centro si saldino invece sul netto no alla riforma.
Il no bipartisan del Csm (in 60 pagine) alla separazione delle carriere
La riforma crea una serie di “nodi problematici”
Il plenum si chiude con 24 voti a 4 per la relazione che individua gravi rischi e criticità derivanti dalla separazione tra pm e giudici, relatori i togati Antonello Cosentino (Area), Roberto D’Auria (Unicost), Eligio Paolini (Magistratura Indipendente), Roberto Fontana (indipendente) e il laico in quota dem, il professor Roberto Romboli. “Non può non osservarsi – si legge nel documento – come impostare la riforma in termini di necessità costituzionale, o anche di stringente opportunità, rischi di veicolare l’idea per cui la magistratura giudicate presenta, oggi, deficit di terzietà e di imparzialità”. Secondo il parere, peraltro, la riforma crea una serie di “nodi problematici”. In particolare, la separazione del pm dal giudice unitamente all’istituzione “di un autonomo organo di autogoverno composto esclusivamente da magistrati requirenti porterebbe” alla nascita di un “potere essenzialmente autoreferenziale, un secondo e autonomo potere giudiziario”. Per citare le parole del costituzionalista Pizzorusso, “il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale “. Votano per l’altra proposta, quella firmata dal laico in quota FdI, il docente Felice Giuffré, solo gli esponenti di area governativa. Un esito che arriva quasi alle dieci di sera, dopo un dibattito che si è provato a far slittare e su cui, già a due ore dal finale, viene notata l’irrituale assenza del vicepresidente Fabio Pinelli. Il quale saluta per impegni e, a detta dei malevoli, marca distanza ed evita imbarazzi.
Critiche e conflitti
Tra gli interventi più duri, quello della prima presidente di Cassazione, Margherita Cassano: «Questa riforma avrà effetti altamente lesivi dei diritti fondamentali della persona: perché rafforza la prospettiva sempre più autorefenziale del pm, meno sensibile a rimettersi in discussione. Staccare una delle componenti della triade significa non rafforzare le garanzie del giusto processo, ma minarle alle radici». Critico, seppur aprendo anche alla proposta di segno opposto, resta il Pg Luigi Salvato, secondo cui «non è assolutamente necessaria questa riforma e non va bene invocare l’Europa». Anche per il laico in quota Pd Romboli, sul Csm, «è troppo forte l’elemento dissonante del sorteggio invece del sistema elettivo: sorteggio puro per i togati e temperato per i laici». Per l’indipendente di sinistra Roberto Fontana, «la riforma si risolverà in un’eterogenesi dei fini con la creazione di un corpo separato di 1500 funzionari, con poteri enormi di controllo sulla polizia giudiziaria e sull’azione penale». L’intero gruppo di Area ricorda: «lo sbocco finale inevitabile sarà il controllo del pm da parte del potere esecutivo, checché oggi ne dica il ministro». Mentre il laico in quota Iv Ernesto Carbone, anche in questo caso (come avvenuto durante l’assemblea dell’Anm del 15 dicembre) si schiera apertamente contro la riforma, quindi anche in dissenso col suo leader Renzi: “Un disegno che ritengo altamente pericoloso. Perché sposta gli equilibri dello Stato a favore del potere esecutivo. E quindi pericoloso per tutti, anche per la politica. Lo dico senza infingimenti. Se io fossi all’opposizione, avrei paura di un tale assetto”.
Dai banchi degli esponenti della destra, è comunque il relatore Giuffré il primo a criticare un dibattito che per lui, evidentemente, non ha ragion d’essere: “Non capisco perché il Csm debba aprire questa discussione visto che né Ministero né nessuno ci ha chiesto un parere. E’ la dimostrazione che il corporativismo esiste ed ha le sue conseguenze, e che il Consiglio esonda”. “Ma il Csm non è un organo passacarte”, è la replica. Mentre da Domenica Miele, di Md, ancora una volta arriva “l’allarmata preoccupazione per la riforma che mina alla base autonomia e indipendenza della magistratura”.
Isabella Bertolini, quota Fdi, invece attacca: «Ora che il ddl è in aula alla Camera, Serracchiani del Pd presenta 170 emendamenti, ma era con la mozione Martina quando il suo collega parlava di separazione». (La deputata dem ha comunque più volte spiegato che già in passato non aveva condiviso quella impostazione, ndr ).
Chiude così Morello, togato di Area: «Questo impianto ha retto all’onda d’urto violentissima di terrorismo, P2, mafie. Se si tocca, il Paese subirà ferite». E sul Csm: «Resterà solo l’acronimo, ma lo chiameremo Consiglio squilibrato della magistratura».