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di Paola Rinaldi
Nella mitologia greca, Procuste era un locandiere che gestiva una taverna fra le colline dell’Attica, lungo la via sacra che conduceva da Atene a Eleusi. La notte ospitava i viandanti, ma quando i malcapitati dormivano ne approfittava per legarli e imbavagliarli: la sua ossessione era quella di farli combaciare esattamente con la misura del letto che metteva loro a disposizione. Agli ospiti troppo alti tagliava le gambe con un’ascia, mentre quelli troppo bassi venivano “stirati” con una vigorosa trazione per far quadrare le misure.
Di questo mito si è appropriata anche la psicologia, che con l’espressione “sindrome di Procuste” descrive il forte disprezzo che alcune persone avvertono verso coloro che eccellono per talento e capacità, al punto da discriminarli o tormentarli nel tentativo di abbassarli al loro livello. Come dire, “se mi superi, ti taglio le gambe”.
Cos’è la sindrome di Procuste
La sindrome di Procuste è una forma di invidia patologica e molto radicata. Il trionfo dell’altro viene vissuto come un’intollerabile ingiustizia sin dagli inizi della storia dell’umanità: Abele è invidiato da Caino, Davide da Saul, Giuseppe dai suoi fratelli, Gesù dai sommi sacerdoti.
In qualche modo, anche la strega che perseguitava Biancaneve è un perfetto emblema della sindrome di Procuste, perché tenta di uccidere la rivale considerata troppo bella: per non provare il dolore procurato dall’invidia, cerca la distruzione della felicità e della fortuna altrui, percependole come provocazioni insopportabili, una sorta di aggressione personale.
La sindrome di Procuste non è una malattia
Quella di Procuste viene definita sindrome perché non rientra nelle classificazioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, considerato la Bibbia della psichiatria, però si tratta di una condizione molto diffusa. «Culturalmente, l’invidia viene connotata come un sentimento negativo, mentre alle giuste dosi può avere un ruolo positivo nella nostra vita e, forse, ha addirittura giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie», commenta la dottoressa Barbara Treves, medico psichiatra, direttrice sanitaria della Casa di Cura Villa Cristina a Nebbiuno, Novara.
Se pensiamo al Paleolitico, quando l’uomo viveva in un ambiente altamente ostile, pieno di pericoli e con risorse limitate a disposizione, paragonarsi agli altri e monitorare la propria situazione rappresentava un’utile strategia nella quotidiana competizione per cibo, partner e incolumità. Da quell’abitudine a guardarsi intorno, alla ricerca di possibili svantaggi, deriva la nostra predisposizione naturale a provare invidia, soprattutto nei periodi di maggiore insoddisfazione.
L’invidia non è sempre negativa
«Come nel Paleolitico, se invidiare qualcuno ci porta a prendere atto delle nostre aspettative e dei limiti personali, spingendoci verso un miglioramento, ecco che l’invidia può innescare un meccanismo dinamico e virtuoso», commenta la dottoressa Treves.
Per esempio, può accadere di provare invidia nei confronti di una collega bella, sportiva e in perfetta forma: da un certo punto di vista, questo può diventare il motore utile per smuoverci e farci crescere, trasformando lo sterile “se lei sì, perché io no?” in un propositivo “se lei può, posso farcela anch’io”. Un atteggiamento perfettamente in linea con il significato evolutivo dell’invidia e con ciò che essa voleva spingerci a fare già nella notte dei tempi: migliorare la nostra condizione.
Quali sono i segnali della sindrome di Procuste
Nella sindrome di Procuste, invece, la persona che ne è affetta non ha alcuna intenzione di cambiare e percepisce in chi incontra – soprattutto quando si tratta di personalità percepite come migliori di sé – una potenziale minaccia. Se ci pensiamo bene, sono principalmente quattro i modi a nostra disposizione per affrontare quella minaccia: attaccare, cercando di distruggerne la fonte; scappare, tentando di sottrarsi al pericolo; immobilizzarsi, in modo da passare inosservati; venire a patti con essa.
«Quando l’invidia diventa acuta e pervasiva, alcuni scelgono la prima strada, non sopportando il disagio del confronto», evidenzia la dottoressa Treves. «I novelli Procuste tendono all’immobilismo, non accettano il cambiamento, né di doversi confrontare con qualcuno che potrebbe surclassarli. Così, non esitano a mettere in atto una serie di comportamenti distruttivi, per esempio ricorrendo a manovre sleali oppure calunniando, denigrando o disprezzando l’altro. Questo accade soprattutto in ambito lavorativo, ai limiti del mobbing, ma non è così raro anche nelle relazioni famigliari e amicali».
Non è detto che questa sindrome interessi solamente chi riveste un ruolo di comando, magari perché timoroso di perdere la leadership a cause di personalità più giovani o dinamiche: talvolta riguarda soggetti privi di qualunque “potere”, ma che comunque si sentono minacciati da qualcuno che non la pensa e non agisce come loro. «L’unico obiettivo è mantenere le cose come stanno, per cui fanno di tutto per denigrare o demotivare le forze nuove e propositive», ammette l’esperta.
Quali sono le cause della sindrome di Procuste
Vivendo nell’epoca dei social, dove vacanze, successi, festeggiamenti, baci e abbracci vengono postati su Instagram, Facebook, TikTok e sugli altri canali, è aumentata la tendenza a confrontare la propria vita con quella degli altri. Secondo molti studi, queste immagini di “vita perfetta” possono ripercuotersi sui soggetti più fragili, facendo avvertire insoddisfazione, dolore emotivo e risentimento.
«Sicuramente, alla base della sindrome di Procuste c’è una scarsa autostima, che può essere dovuta a molteplici cause», ammette la dottoressa Treves. «Quella bassa autostima, poi, è strettamente connessa con egocentrismo, assenza di empatia e un’insicurezza tale da irrigidire la persona e renderla incapace di andare al di là della barriera che si è costruita intorno».
Come difenderci dalla sindrome di Procuste
A tutti è capitato di incontrare un Procuste, almeno una volta nella vita. Nel mondo della scuola, sul lavoro, in famiglia o tra gli amici, qualcuno ha sicuramente cercato di metterci i bastoni fra le ruote pur di non farci emergere. Che fare in quelle situazioni?
«È importante mettere dei paletti, dire di “no” e non farci manipolare da chi ci sta accanto», suggerisce l’esperta. «Se qualcuno continua a mettere in dubbio quello che facciamo o che siamo, facendoci lo sgambetto, non lasciamo che questo possa minare l’idea che abbiamo di noi stessi. Cerchiamo di capire che non siamo noi ad avere qualcosa che non va, ma è il Procuste della situazione a farcelo credere, sminuendoci».
Certo, non è semplice evitare di essere “vittime supine” degli invidiosi patologici, ma dobbiamo imparare a non farci umiliare, ad alzare la testa, a non svalutarci e a dire la nostra per difenderci da parole e azioni malevole delle persone tossiche che incontriamo.
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