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Speranza dice sì a Letta: “Nel listone ci siamo”. Ma resta il nodo dei 5S

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Enrico Letta sa che Roberto Speranza c’è. È della partita. Si sentono, concordano le mosse. E quindi, Articolo Uno sarà parte del listone unico che il segretario Pd ha lanciato su Repubblica. Quel contenitore aperto con il simbolo del Pd e una scritta che intende aggregare, “Democratici e progressisti”. L’ufficialità arriverà mercoledì prossimo, quando il partito nato da una scissione del Nazareno si riunirà per sancire la svolta.

“Andiamo avanti sul progetto unitario – ha ripetuto in queste ore Speranza agli interlocutori, il primo dei quali è ovviamente il segretario dem -. E lo facciamo con grande convinzione”. Convinzione che passa da un esperimento di rinnovamento, anche grafico, grazie al simbolo e alla dicitura che rimanda a democratici e progressisti: “Un segnale di vera apertura e innovazione”. Oltreché, ovviamente, con l’ambizione di rappresentare l’ala sociale e innalzare una diga contro il sovranismo: “Il nostro avversario si chiama destra – è la linea di Speranza – dobbiamo creare le condizioni per evitare lo sfondamento”.

Il tempo è poco, la voglia di attrezzare una resistenza al sovranismo occupa anche questa domenica di fine luglio. La proposta di un listone avanzata da Letta non è estemporanea. Semmai, sono i tempi di realizzazione ad essere diventati improvvisamente stretti a causa di una crisi provocata da Giuseppe Conte e cavalcata con euforia da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Letta e Speranza si coordinano da tempo: l’hanno fatto per il bis di Sergio Mattarella, durante l’esperienza di governo di Draghi, ci hanno provato anche nel tentativo (poi fallito) di recuperare in extremis Conte nel giorno che ha sancito la crisi. Il listone è insomma la conclusione naturale del percorso. Il ministro della Salute ha vinto un congresso con il 90% dei voti, imponendo la novità di una lista nel solco del socialismo e progressismo europeo. Quella proposta dal segretario Pd, insomma: “Noi – sostiene in queste ore – porteremo l’attenzione alle famiglie in difficoltà, ai salari, alla sanità e alla scuola pubblica. Il sociale sarà la nostra bandiera”.

Al progetto unitario aderirà anche il Partito socialista. Non invece Sinistra italiana ed Europa Verde, capitanate da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Loro presenteranno la prossima settimana un proprio simbolo e un contenitore di sinistra, assieme ad alcuni sindaci. Salvo sorprese, però, saranno alleati con i “Democratici e progressisti” di Letta, in modo da condurre una battaglia comune nei collegi. Con un obiettivo politico ulteriore, però: spingere per ricucire anche con il Movimento 5 Stelle. “Rinunciare a un’alleanza con i grillini – sostiene Fratoianni – non è la più saggia delle scelte”. Allargare ai cinquestelle, invece, permetterebbe di digerire forse anche un’eventuale intesa con Calenda, come si trattasse di un Cln degli anni 2000. “Un conto è se c’è il Movimento, e allora ci possono stare anche altri. Altro un patto centrista con Calenda e Renzi, nel nome dell’agenda Draghi, a cui noi non parteciperemmo”. Sono gli stesi ragionamenti di Bonelli: “Ci assumiamo davvero la responsabilità di far vincere questa destra? È una valutazione che dovrebbe fare non solo il Movimento, ma anche Calenda. Altrimenti vivremo infelici e contenti nell’Italia sovranista…”.

La verità è che al momento Letta lavora soprattutto al listone dei democratici e progressisti, alleato col contenitore di sinistra. Eppure, neanche Articolo Uno vuole un frontale con i grillini: “Non possono diventare il nostro nemico”, è la linea di Speranza. Sullo sfondo resta la proposta di costruire un’alleanza non politica, ma tecnica. Presentarsi insieme solo per competere nei collegi. Sostenendo candidati esterni ai partiti, riconoscibili, capaci di aggregare le forze ostili alla destra. Servirebbe una sorta di declassamento dell’intesa con i 5S ad accordo tattico, utile a contenere i sovranisti nell’uninominale. Facendolo nell’unico modo concesso dal Rosatellum, che non prevede desistenze: un apparentamento nazionale, appunto. Difficile, perché il tempo stringe. E difficile soprattutto perché Letta non sembra avere alcuna voglia di accordarsi con chi ha silurato Mario Draghi.

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