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Costretti a lavorare con team sottodimensionati, assunti con contratti a tempo determinato e con paghe inferiori del 22% rispetto a molti Paesi europei. Per non parlare dell’aggressività che vivono sul luogo di lavoro che talvolta arriva persino a trasformarsi in violenza. Sono stanchi e malpagati medici e infermieri italiani, tanto che circa uno su due soffre di bornout, una sindrome psicologica che deriva dallo stress cronico legato al proprio lavoro. A viverla è il 52% dei medici e il 45% degli infermieri. I dati emergono dal rapporto su Salute e Ssn dell’Osservatorio salute, legalità e previdenza di Fondazione Enpam e Eurispes.
Sempre meno medici e sempre più precari
A partire dal 2008, spiega il report, in Italia la crescita del personale sanitario, che si protraeva da più di 30 anni, si è arrestata. Per esempio, nel 2014 sono stati assunti 80 dipendenti ogni 100 andati in pensione, nel 2015 si è scesi a 70 ogni 100, nel 2017 98 ogni 100.Di pari passo è aumentato il lavoro cosiddetto flessibile: nel 2018, nel comparto sanità si è concentrato il 45% dell’utilizzo di unità annue a tempo determinato di tutta la Pubblica amministrazione (35.481 su 79.620); questo tipo di contratti è stato poi sfruttato al massimo negli anni della pandemia, con un aumento del 44,6% tra il 2019 e il 2022.
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Questione di genere
“Il blocco del turnover, e dunque la carenza cronica di personale all’interno delle strutture sanitarie – spiegano gli estensori del rapporto – da decenni costringe gli operatori a sforzi prolungati, continui e ad alto coinvolgimento fisico e psicologico”. Il fenomeno del burnout riguarda soprattutto le donne. Il personale femminile è anche vittima di circa i due terzi delle 18mila aggressioni a danno dei sanitari e continua a scontare un forte svantaggio legato al genere: più di due terzi dei lavoratori del settore sanitario oggi sono donne, ma le posizioni dirigenziali e apicali sono ancora appannaggio degli uomini. Nel caso dei medici, per esempio, le donne rappresentano il 51,3% della professione, ma solo il 19,2% dei primari è di sesso femminile.
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Jessica Muller Castagliuolo
Il futuro
“Nei cambiamenti in atto – demografico, generazionale, valoriale, tecnologico – la professione medica deve riconquistare rilevanza sociale e autorevolezza”, ha affermato il presidente della Fondazione Enpam, Alberto Oliveti. “Per riappropriarci dell’arsmedica dobbiamo ripartire dalla sua definizione e quindi da: scienza, coscienza e sapienza, ben consapevoli che l’intelligenza artificiale, nel suo essere pervasiva, cambierà pratiche, politiche ed etica”.
“Occuparsi di salute richiede un approccio olistico, intersettoriale, dinamico, nazionale e internazionale, ma richiede anche la capacità di calarsi, di volta in volta, in precise aree disciplinari o problematiche specifiche, al fine di osservarle, analizzarle e formulare osservazioni e proposte”, ha aggiunto il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara.