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La data che diventa un “confine” tra un prima e un dopo nel processo sul crollo del ponte Morandi è quella del 5 marzo del 2019. Quel giorno è avvenuta l’estensione dell’incidente probatorio ad altri 48 indagati, ai quali è stato notificato l’avviso di garanzia. Sicché si sono aggiunti al primo blocco di 21 iscritti a settembre 2018. A novembre 2018 era iniziata la cosiddetta repertazione sui monconi e parti del viadotto crollato. “Un atto irripetibile – sottolinea l’avvocato Rinaldo Romanelli – al quale alcuni degli imputati non hanno potuto partecipare con i loro difensori e consulenti tecnici. È venuto meno un nostro diritto di difesa ” . Una eccezione già sollevata in udienza preliminare e incidente probatorio, ma che ora diventa ancora di più una fase di non ritorno. In caso di accoglimento da parte del collegio giudicante (presidente Paolo Lepri, a latere Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori) manderebbe all’aria una parte del processo, di fatto annullando il primo incidente probatorio, oppure stralciando le posizioni di 48 imputati: tutti iscritti e indagati appunto dopo il 5 marzo 2019. Allungando i tempi del processo. Come avvenne per la strage di Avellino.
Come si ricorderà, la prima tranche con 21 indagati era stata stilata il 13 settembre 2018, un mese dopo il crollo del 14 agosto che fece 43 vittime. A novembre i reperti sono stati trasferiti ai laboratori Empa di Zurigo per la perizia ” sullo stato di salute del ponte prima del crollo”. Solo in un secondo momento – appunto a marzo 2019 – i soggetti chiamati a dover rispondere di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e omicidio stradale, sono diventati 69, più le due società Autostrade e Spea ( la gemella che fino al dicembre 2019 era delegata al monitoraggio della rete autostradale italiana. Il gup Paola Faggioni ne ha ” graziati” 10 e rinviati a giudizio 59. Infine è arrivato il patteggiamento di Aspi e Spea, con il pagamento di 29 milioni di euro e l’uscita di scena delle due società. Romanelli difende alcuni ispettori tecnici di Spea: Marco Trimboli, Giorgio Melandri (per lui solo ipotesi di falso) e Massimo Ruggeri. Ma se si escludono i primi 21 indagati, la lista di coloro a cui secondo gli avvocati sarebbe stato negato ” il diritto alla difesa” è composta appunto da una quarantina di imputati. Tant’ è che altri legali hanno sollevato l’eccezione. Anche se in udienza preliminare il pm Massimo Terrile ( uno dei titolari, l’altro è Walter Cotugno) si è giustificato: ” Tra settembre 2018 e marzo 2019 abbiamo chiesto gli organici ad Aspi, Spea e al Ministero delle Infrastrutture, e verificare le posizioni di garanzia”. Si vedrà.
L’ultima tegola sui 59 imputati del crollo del ponte Morandi è stata lanciata dall’attuale amministratore delegato di Autostrade. Roberto Tomasi il 28 giugno scorso: nove giorni prima dell’inizio del mega processo che inizia domani. Nell’interrogatorio reso al pm Cotugno a pagina 4 del verbale di ” Sommarie Interrogazioni Testimoniali” si legge che “durante questa fase di ispezione abbiamo rilevato sulla rete autostradale 27mila difetti che non erano stati segnalati”. Pericoli dentro le gallerie. Il numero uno di Aspi, interrogato come testimone e senza la presenza di un avvocato, si riferisce al monitoraggio fatto da Spea. E di questi difetti, “dai dati forniti dal direttore del Primo Tronco ( di Genova, ndr) ne sono stati rilevati oltre 6mila di tipo S che comportavano la immediata chiusura delle gallerie interessate”. Tutte nel Genovesato. All’ad di Autostrade, a poche ore dall’inizio del mega processo (59 imputati, 170 testimoni, 400 parti civili) diventato testimone “eccellente”, è stato chiesto se fosse al corrente delle condizioni del ponte prima del disastro. E lui ha risposto: “Il quadro emerso dopo, sulle condizioni, è stato meno rassicurante di quello fornito da Spea”. Di fatto alleggerendo la posizione dei manager, dirigenti e tecnici di Aspi; e scaricando Spea.