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Ci sono situazioni in cui alla tristezza non c’è fine. O dove l’assenza dello Stato depone sofferenza su sofferenza. La battaglia per il fine vita in Italia è ormai fatta di storie in cui la burocrazia aggiunge al danno la beffa. E’ soltanto di 48 ore fa la scelta clamorosa di Fabio Ridolfi: dopo aver atteso invano di poter morire con il suicidio assistito, ha aperto al sua “stanza del dolore” a stampa e televisioni per gridare, in senso metaforico, attraverso il puntatore oculare del suo computer, che si farà sedare per morire di fame e di sete. Ieri è invece toccato a Mario, nome di fantasia, il primo dei tre pazienti marchigiani ad aver ottenuto di poter dire addio alla vita attraverso il suicidio assistito “legale” così come prevede la sentenza della Consulta sul caso di Dj Fabo.
Dodici anni dopo l’incidente in auto
Mario, tetraplegico da 12 anni dopo un incidente di auto, ha scoperto che per poter mettere fine alle sue sofferenze dovrà pagare cinquemila euro. Sì, perché in assenza di una legge, il cui testo è stato approvato alla Camera e adesso è stato insabbiato al Senato in mano leghista, i costi di tutta l’operazione dovrebbero sostenerli Mario stesso e la sua famiglia.
La denuncia della Coscioni
Lo Stato italiano, infatti, denuncia l’Associazione Luca Coscioni, non eroga il farmaco, non fornisce la strumentazione idonea, non fornisce il medico: per poter finalmente scegliere sulla propria vita, Mario dovrebbe affrontare una spesa di circa 5.000 euro in apparecchiature e farmaci. In particolare, “c’è bisogno di uno strumento infusionale che costa 4.147,50 euro”. Tanto che l’Associazione Luca Coscioni, ha lanciato una raccolta fondi per aiutare Mario quando vorrà, e altre persone nelle sue condizioni, ad esercitare il diritto di scegliere di porre fine alle proprie sofferenze. In poche ore sono già stati raccolti i fondi necessari.
Suicidio assistito, Fabio e il dolore gridato con gli occhi: “Voglio morire anche per gli altri”
dalla nostra inviata
Maria Novella De Luca
Le parole di Cappato e Gallo
Spiegano Marco Cappato e Filomena Gallo, tesoriere e segretario dell’Associazione Coscioni: “A oltre due anni e mezzo dalla sentenza della Corte costituzionale, il compito del Servizio sanitario nazionale si esaurisce con le verifiche delle condizioni e delle modalità e il parere del Comitato etico”. Null’altro. “Aziende sanitarie che rispondono, se rispondono, con tempi lunghissimi ignorando la sofferenza di chi chiede di poter accedere al suicidio assistito legalmente in Italia”. “Il Parlamento – dicono Gallo e Cappato – potrebbe trovare una soluzione, ma il testo è insoddisfacente ed è insabbiato al Senato. Per non fare ricadere l’onere anche economico sulle spalle di Mario e per il futuro dei malati nelle sue condizioni abbiamo deciso di farci noi promotori della raccolta dei fondi indispensabili. Esercitiamo così una vera e propria supplenza all’incapacità dello Stato italiano di farsi carico del diritto dei propri cittadini di non subire condizioni di sofferenza insopportabili contro la propria volontà”.
Il medico di Welby
Sarà Mario Riccio, il medico che aiutò Piergiorgio Welby ad interrompere la sua vita, ad assistere Mario nel suicidio assistito. Mario, lo ricordiamo, è un nome di fantasia. Insieme ad Antonio, altro paziente rimasto gravemente disabile dopo un incidente, e a Fabio Ridolfi di Fermignano, ha fatto causa all’Azienda sanitaria unica delle Marche per poter ottenere il suicidio assistito legale. Così come prevede la sentenza della Consulta del 2019, sentenza che in assenza di una norma del Parlamento ha valore di legge.
Un bottone per accomiatarsi dalle sofferenze
Mario, dopo un iter lunghissimo e doloroso in tribunale, ha ottenuto il via libera dalla Asl. Anche il farmaco, un barbiturico già utilizzato in Svizzera, è stato identificato. “Il farmaco – spiega Riccio – verrà iniettato per via venosa attraverso l’uso di una pompa infusionale con un bottone che Mario potrà premere”. Dunque sarà Mario, ed è il dato chiave, a premere l’ultimo bottone per accomiatarsi dalla vita. L’addio avverrà in casa e sarà filmato e documentato affinché possa essere evidente che si è trattato di un suicidio. In assenza però di una legge (e chissà se il testo in discussione prevederà che la procedura vada a carico del servizio sanitario nazionale), in assenza di indicazioni, ogni passo è sperimentale. Anche, drammaticamente, i costi per poter morire, che l’Associazione Coscioni ha già puntigliosamente conteggiato. La pompa costerà 4.147,50 euro, il resto servirà per comprare, privatamente, i farmaci necessari. Mario dunque potrà mettere fine alle sue sofferenze soltanto se si raccoglieranno i fondi necessari per la pompa infusionale. Una clamorosa ingiustizia.