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“Mario” che non era Mario, si chiamava Federico Carboni, la prima persona a morire In Italia con il suicidio medicalmente assistito. Federico aveva 44 anni, viveva a Senigallia, provincia di Ancona affacciata sul mare, assieme a sua mamma, nella stessa casa marchigiana, senza barriere, con il giardino, in cui ha vissuto gli ultimi 12 anni da tetraplegico a causa di un tragico incidente stradale, la stessa casa in cui è morto oggi.
L’identità
Finora la sua identità era rimasta nascosta. Come da sue volontà. Ora l’Associazione Luca Coscioni, che lo assistito nella sua battaglia legale, per la raccolta fondi necessaria ad acquistare la strumentazione e il farmaco letale e, ancora oggi, durante l’iniezione che Federico Carboni si è autosomministrato, ha rivelato il suo nome e il suo volto.
Le ultime parole
“Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così”. Sono le sue ultime parole, scritte in una lettera di qualche settimana fa.
“Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità – aggiungeva – ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Posso dire che da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco ci sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare, perché so che premendo quel bottone sarà un addormentarsi chiudendo gli occhi senza più ritorno, ma pensando ogni giorno, appena sveglio fino alla sera quando mi addormento, come vivo e passo le mie giornate e rimandare cosa mi cambierebbe, niente sarebbe solo rimandare dolori, sofferenze che non avrebbe senso, non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”.
La vita prima dell’incidente
Un ultimo gesto ripensando anche al prima, prima di quell’incidente che lo ha paralizzato, dalle spalle ai piedi, senza perdere la lucidità né la voce, forte e chiara, un prima “dove ho fatto e avuto tutto dalla vita”, diceva, quando macinava chilometri perché faceva il camionista, su e giù per l’Italia, appassionato di moto, allegro, pieno amici, alcuni dei quali lo hanno acompagnato anche oggi, ne suo ultimo giro.
Poi lo schianto, una sera, da cui non credeva di risvegliarsi e invece ha riaperto gli occhi. In un letto da cui non si è più rialzato, accanto alla mamma, dopo la morte del papà nel 2015, e a due infermieri che lo hanno assistito ogni giorno nelle sue funzioni primarie.
“Ora sono libero di volare”
“Con l’Associazione Luca Coscioni – ha scritto poche settimane fa – ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.