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Un’autodenuncia presentata alle 11,15 alla caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine, a Milano. Così Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, è tornato ad accendere una luce sul tema del fine vita e del suicidio assistito. Ieri aveva annunciato di trovarsi in Svizzera per dare seguito alla richiesta di aiuto ricevuta da parte di una signora veneta di 69 anni, Elena, originaria di Spinea in provincia di Venezia, paziente affetta da una importante patologia oncologica polmonare irreversibile con metastasi, che aveva chiesto di essere accompagnata nel Paese elvetico per potere accedere legalmente al suicidio assistito.
(ansa)
“Elena ha appena confermato la sua volontà: è morta, nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso”, ha scritto Cappato in un tweet martedì sera. Oggi la decisione di autodenunciarsi per il reato di aiuto al suicidio: una fattispecie prevista dall’articolo 580 del codice penale che prevede pene che possono raggiungere anche i 12 anni di reclusione.
Rispetto ai precedenti casi Elena non era tenuta in vita da “trattamenti di sostegno vitale”
Cappato aveva scelto Milano per autodenunciarsi per il suicidio di Dj Fabo (per quello di Davide Trentini invece l’indagine era stata svolta a Genova), ma questa volta il caso dal punto di vista giudiziario e legale si presenta in modo diverso rispetto ai due precedenti in quanto Elena non era tenuta in vita da “trattamenti di sostegno vitale”.
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Maria Novella De Luca
“Mi sono trovata davanti ad un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all’inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda – ha detto Elena, 69 anni,in un videomessaggio in cui ha raccontato il suo addio alla vita -. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola”. La donna aveva ricevuto la diagnosi di microcitoma polmonare a inizio luglio 2021. Da subito i medici le avevano detto che avrebbe avuto poche possibilità di uscirne. Dopo tentativi di cure le è stato comunicato che c’erano pochi mesi ancora di sopravvivenza: una situazione che, via via, sarebbe diventata sempre più pesante.
Cappato: “Dirò ai carabinieri che sono pronto a rifarlo”
Prima di entrare nella caserma dei carabinieri per autodenunciarsi, Marco Cappato ha spiegato il senso della nuova battaglia: far riconoscere il diritto all’aiuto al suicidio anche per i malati che non sono tenuti in vita da “trattamenti di sostegno vitale”. “Ai carabinieri dirò che senza il mio aiuto Elena non sarebbe potuta giungere in Svizzera e aggiungerò che aiuteremo anche le altre persone nelle sue stesse condizioni che ce lo chiederanno – queste le parole del tesoriere dell’associazione Luca Coscioni -. C’è una discriminazione insopportabile tra malati che sono attaccati alla macchine e quelli che non lo sono”.
Il caso di Elena non rientra tra quelli contemplati dalla Corte Costituzionale in tema di suicidio medicalmente assistito. La donna non era tenuta “in vita da trattamenti di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti previsti dalla Consulta nel 2019 pronunciandosi sul caso Cappato – Dj Fabo. “Voglio ringraziare il marito e la figlia di Elena per la fiducia e la vicinanza di queste ore”.