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Una “grave interferenza”. Anzi: una “deriva pericolosa”. L’Anm e i giudici milanesi sul piede di guerra, pronti “ad ogni azione” dopo che il ministro Carlo Nordio ha promosso l’azione disciplinare a carico dei giudici di quella Corte di Appello, Monica Fagnoni, Micaela Curami e Stefano Caramellino per “grave e inescusabile negligenza”, in relazione al caso Uss. L’evasione dagli arresti domiciliari dell’oligarca russo Artem Uss, avvenuta il 22 marzo scorso – poche ore dopo il primo sì della giustizia italiana all’estradizione, come chiedevano gli Usa – ora scava un fossato tra le toghe e Nordio. Che proprio oggi, alle 14, riferisce in aula alla Camera, dopo l’incontro di ieri con la presidente Meloni.
È pronto a difendere il suo operato, il ministro. Determinato ad escludere che vi siano state, da parte sua, sottovalutazioni o strumenti non attivati per tempo. Tesi con cui convincere definitivamente, forse, anche la premier e qualche altro ministro. Mentre il Pd, con Debora Serracchiani e tutti i senatori, attacca “l’assurdo scaricabarile”. Non è un caso, comunque, che nel pomeriggio, mentre a Milano l’infuocata assemblea della giunta Anm assume i toni quasi della rivolta, a Roma il Guardasigilli venga ricevuto da Meloni, a Chigi. In un incontro dalla doppia lettura.
Nordio ha bisogno di essere blindato, e il governo non può – rispetto all’irritazione degli americani – mostrarsi diviso sul fronte della sicurezza e dell’affidabilità verso l’alleato, con un potente imprenditore russo (arrestato per frode e contrabbando di carburanti e tecnologie ai danni degli States), che la fa franca, scappando dai domiciliari nella lussuosa cascina grazie a sette uomini e a sette auto, in fuga via Slovenia, come in un film. Ma, allo stesso tempo, la premier vuole vederci chiaro. Magari comprendere se e perché a via Arenula vi siano stati “tempi di reazione” lenti. E anche: se e in che termini il ministro, che non aveva contestato quei domiciliari fino a quando il caso non è esploso politicamente, poteva impugnare la decisione – così come gli ricorda la corte d’Appello di Milano, nella relazione agli ispettori di via Arenula – e ottenere il ripristino della custodia in carcere. Il dialogo tra Meloni e Nordio affronta tutto nei dettagli. Il punto di caduta, l’unico certo: il dito di Nordio puntato contro i tre magistrati che, lo scorso novembre, anche contro il parere del Pg, hanno concesso a Uss l’attenuazione della misura, aggravata dal controllo del braccialetto elettronico.
“Ma non possiamo essere il capro espiatorio”, sottolineano ieri le tante toghe. A Milano, sono oltre cento a riunirsi, tra loro anche Luca Poniz, già presidente dell’Anm e Armando Spataro, già procuratore di Torino, oggi in pensione. In silenzio, nei loro uffici al lavoro, i giudici sotto accusa: Fagnoni, Curami e Caramellino. “Sono sereni, hanno fatto il loro dovere”, sottolinea Giuseppe Ondei, presidente della corte d’Appello di Milano. Ma è proprio l’atto di incolpazione firmato da Nordio che porta la data del 12 aprile scorso – curioso: era tutto chiuso già il giorno precedente alla notizia del primo accertamento – a scatenare l’ira delle toghe. Perché Nordio, in quelle carte, elenca sette circostanze, relative all’indagato, in base alle quali Uss non doveva lasciare la cella.
“Ma il ministro non può sindacare queste valutazioni, non può entrare nel merito, altro è la negligenza. È uno scivolone istituzionale che si doveva evitare”, sbotta il vertice dell’Anm, Giuseppe Santalucia. Un’azione che “scardina il principio della separazione dei poteri”, dice il presidente reggente del Tribunale di Milano Fabio Roia davanti ai vertici del distretto, il procuratore Marcello Viola, la Pg Francesca Nanni. E, ancora da Milano, Spataro: “Ma come si fa a scrivere un capo d’incolpazione in questo modo? Siamo di fronte a un caso unico. Il prossimo passaggio è sottoporre a visto del Guardasigilli le sentenze?”. E Poniz: “Questa vicenda ci riporta ad anni passati, cupi, che pensavamo chiusi. Ma che idea di diritto hanno questi signori?”. E chiude così: “Oggi noi tutti siamo quei tre giudici”.