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“Dove c’è la Lega, non c’è la ‘ndrangheta”. Così ha ripetuto ossessivamente Matteo Salvini, battendo in lungo e in largo la Calabria, da tre anni condannata a una dura ginnastica elettorale tra un doppio turno di Regionali e due di Amministrative nelle città capoluogo. Adesso però il leader rischia di dover cambiare slogan e registro. Pena, l’immediata sconfessione del neo-nominato coordinatore di campagna per le prossime Politiche. Perché il deputato leghista Domenico Furgiuele, chi ha lavorato con i clan ce l’ha in casa. Anzi, in famiglia.
Il suocero, il “re dell’autostrada”Salvatore Mazzei, non più tardi di qualche anno fa è finito in carcere per una condanna definitiva per estorsione e da “imprenditore di riferimento dei clan” è stato destinatario di un sequestro antimafia. A chiederlo, la procura diNicola Gratteri, a cui pubblicamenteSalvini giura rispetto stima. Ma riguardo aFurgiuele e al suo ingombrante suocero, nellaLega sembra si siano fatti andar bene la “confessione” del deputato, pronto a giurare di essere “colpevole solo di essere innamorato di mia moglie”.
Peccato che la consorte non sia certo l’unico legame fra la famiglia Mazzei e il leghista calabrese. Che con la sua (ormai ex) società Terina, tramite affitto di ramo d’azienda, ha incamerato anche commesse, mezzi e attrezzature della Cogema, il pilastro dell’impero imprenditoriale del suocero, poi finita sotto sequestro.
E con quella società – da cui è uscito appena eletto, lasciando tutto ai cognati – di guai Furgiuele ne ha passati. Fra gli imprenditori travolti dalla maxi-operazione antimafia che ha svelato il controllo del clan Piromalli sugli appalti nella Piana di Gioia Tauro, per il deputato qualche mese fa la procura di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio per turbativa d’asta.
“Nessuno può dirsi colpevole fino al terzo grado di giudizio”, lo ha difeso in passato Matteo Salvini, folgorato sulla via del garantismo quando è stato incalzato sul tema. Ma in settori di via Bellerio la cosa ha provocato più di un mal di pancia. Così come in tanti non hanno digerito né la nomina ufficiale a coordinatore di campagna in Calabria, né la candidatura – tanto ufficiosa, quanto blindata – in uno dei pochi collegi uninominali in regione. Merito – malignano alcuni – di un nume tutelare nel cerchio magico di Salvini, che lo avrebbe messo al riparo anche dai bisticci tutti interni al partito calabrese, ancora diviso – più in bande, che in correnti – a dispetto di un commissariamento che dura da anni. E che mai Furgiuele è riuscito a governare.
Del resto, più di un imbarazzo fra i suoi, il deputato calabrese lo ha provocato. Il suo nome è saltato fuori anche nell’inchiesta sull’omicidio mafioso di Davide Fortuna. Per preparare l’agguato – ha raccontato uno dei killer, dopo essersi pentito – lui e i suoi complici sono stati graditi ospiti di Furgiuele all’hotel Phelipe, di proprietà del suocero. “Era una cortesia al mio capocantiere”, ha giurato il leghista quando è stato interrogato dai magistrati, professandosi del tutto all’oscuro. “Storie vecchie e già chiarite, mai ricevuta nessuna contestazione”, ringhia invece a chi gli chieda dettagli al riguardo.
Ma è l’ennesima ombra che si addensa sulla Lega calabrese. Che fra consuoceri e nipoti di boss in passato candidati tra la Piana e Cosenza, narcotrafficanti intercettati mentre professano la propria fede salviniana e scivolosi rendez-vous fra aspiranti eletti e pericolosi boss per discutere di voti e urne, più volte sulla ‘ndrangheta ha rischiato di scivolare.