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TRIESTE – Un fotografo in pensione con l’hobby dei coltelli e della mountain bike che adesso passa le giornate stretto in un pile e con un plaid sulle gambe: e stretto tra la paura che la polizia lo venga a prendere per portarlo in carcere e l’incapacità un po’ narcisistica di sottrarsi alle telecamere. “Mi cercano tutti, io sono disponibile. Non ho niente da nascondere”. Un ex maratoneta 82enne, fisico asciutto, brillante. Salito sul Carso fino a domani per schivare il frullatore mediatico a cui pure ha dato un suo contributo. “Quello che dovevo dire l’ho detto. Fino a indagini concluse non parlo più”. E poi lei: Liliana Resinovich. Ex impiegata regionale, dolce, benvoluta, generosa.
Generosa con il marito a cui, a 63 anni e con un pensione di 1.500 euro, regalava bici e vacanze da cui tornavano carichi di souvenir; e sul groppone della donna erano anche le spese dell’appartamentino al civico 2 di via Verrocchio. Generosa Liliana lo era altrettanto con l’amico-confidente, l’ex maratoneta Claudio Sterpin: da anni, ogni martedì, andava a casa ad aiutarlo a sbrigare le faccende domestiche, e il rapporto tra i due forse era diventato qualcosa di più di una tenera amicizia.
Giallo di Trieste, il marito della donna scomparsa: “La mia Lilly e l’sms che ha inviato al suo amico. Lui mi definisce un mostro ma non l’ho uccisa io”
dal nostro inviato Paolo Berizzi 07 Gennaio 2022
Liliana adesso è un corpo disteso su un tavolo di marmo in attesa di autopsia (slittata a martedì) all’obitorio di Trieste. La testa ancora avvolta in due buste di plastica. Come quando 4 giorni fa un vigile del fuoco l’ha trovata rannicchiata senza vita dentro due sacchi neri dell’immondizia nel bosco del Parco San Giovanni, nell’area dove un tempo sorgeva l’ospedale psichiatrico. A cento passi da un roseto che era la passione di Liliana e di Sebastiano Visintin, il marito 72enne sospettato di essere coinvolto nella scomparsa.
Se, come è ormai quasi certo, il corpo è di “Lilly”: chi l’ha uccisa? Quando, come e perché? E quand’è che l’assassino ha abbandonato il cadavere in mezzo ai rovi dopo averlo infilato dentro sacchi di plastica che avevano ancora le pieghe nel mezzo? Come sempre accade quando in una storia la consistenza dei possibili indizi pesa tanto quanto l’ombra della loro volatilità, anche nel giallo di Trieste, tra sospetti e suggestioni, conviene osservare i dettagli. Ventisei giorni dopo la scomparsa di “Lilly”. Era il 14 dicembre. Due uomini si accusano a vicenda. Il marito e l’amico-confidente.
In questi giorni Visintin dice al telefono (è intuibile che ad ascoltarlo non ci sia solo il suo interlocutore) “lo sappiamo tutti quello là che persona è!”. Sterpin. Che da parte sua ha sganciato un macigno. “A casa pagava tutto lei, voleva lasciare il marito perché con lui era triste. Glielo avrebbe detto il 16 dicembre”. Lasciarlo sì, ma non in braghe di tela. “Avrebbe preso un’altra casa, più economica”, dice Sterpin. Il marito è convinto che l’amico fosse amante e che “Lilly era spaventata da lui perché voleva sempre di più”. Anche più del weekend che i due – sempre secondo Visintin – “avevano organizzato per il 18 e 19 dicembre”: quattro giorni dopo la scomparsa.
Giallo di Trieste, la donna trovata nel bosco è stata soffocata con un sacchetto. L’autopsia confermerà se si tratta di Liliana Resinovich
di Gianpaolo Sarti 06 Gennaio 2022
Fermiamoci un attimo. Come “sparisce” Lilly il 14 dicembre? La versione fornita dal marito: “Mi aveva detto che doveva andare a trovare degli ex colleghi”. Ma poi dice di avere scoperto, smanettando sul cellulare di lei, che la moglie doveva andare a casa di Sterpin. L’uomo abita quasi dall’altra parte di Trieste, rispetto al rione San Giovanni dove c’è casa Visintin-Resinovich. “Con quel tizio si erano sentiti alle 8.22”, riferisce l’ex fotografo. Aggiunge un particolare: “Prima di uscire era andata a buttare l’umido”. I sacchetti sulla testa del cadavere trovato nel bosco sono di plastica trasparente. Ma la prima domanda a cui cercano una risposta gli investigatori della Squadra mobile è un’altra: dove si dirige Liliana quella mattina dopo avere lasciato a casa cellulari, borsa e documenti. Chi incontra, o chi la raggiunge? Ha avuto una discussione, e se sì, con chi? Col marito? Con l’amico e il marito li ha sentiti?
Via Donadoni, 36/A. “Giù in città”, per dirla con Visintin (casa loro è su, verso la collina). La claire del negozio è abbassata. Qui c’è il laboratorio del marito di Liliana. “Affilo coltelli in nero per mantenermi”. Il 14 mattina fa delle consegne, racconta. Poi – dice – va a provare una Go-Pro in bicicletta. È un alibi che tiene? Visintin lo pensa: sua sponte consegna il video ai poliziotti. Non è la prima volta che l’uomo ha a che fare con la polizia. Dieci anni fa sua figlia – avuta dal primo matrimonio – muore di overdose. Adesso, il secondo dramma: la moglie trovata cadavere. “Finirà che mi arresteranno perché io non so difendermi”, ripete l’uomo.
Chi sospetta un suo coinvolgimento – ma al momento non vi sono riscontri – butta lì degli spunti suggestivi. Se i sacchi neri sul corpo della donna non portano i segni di tre settimane all’aperto, dove è rimasto il corpo dal 14 dicembre? Gli inquirenti sembra abbiano già escluso dalle ipotesi gli edifici abbandonati del parco San Giovanni (non ha senso spostare il corpo di pochi metri fin dentro il bosco). E stanno passando al setaccio una quindicina di telecamere. Tra queste, le quattro della Scuola allievi agenti della polizia-caserma Vincenzo Raiola. Sorge in via Damiano Chiesa. A qualche centinaio di metri dalla casa da cui Lilly sarebbe uscita per portare l’umido. Lungo la strada che dal laboratorio del marito porta a San Giovanni. All’appartamento di via Verrocchio. In quelle riprese video potrebbe esserci la chiave del giallo.