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C’è un fiume carsico che attraversa la frontiera italo-slovena. Non è un corso d’acqua, è fatto di persone. E per la prima volta in anni, molte sono donne sole. Nepalesi per lo più: passano come fantasmi lungo il confine, arrivano a Trieste, la maggior parte di loro lì rifiatano e dopo riprendono il viaggio.
Destinazione: Spagna o Portogallo, dove è facile trovare lavoro nei campi e regolarizzare la propria posizione è più semplice. O almeno, così promettono le organizzazioni che ormai sempre più spesso pianificano i viaggi. Eccolo il nuovo volto della rotta balcanica, dimenticata e sempre più violenta strada verso l’Europa.
I numeri di arrivi e transiti
In solo dodici mesi – emerge dall’ultimo rapporto Irc, International rescue committee – i transiti sono aumentati del 520%. “Probabilmente – dice Alessandro Papes – è numero approssimato per difetto. Da quando sono stati ripristinati i controlli di frontiera tra Italia e Slovenia, nonostante le cifre ufficiali dicano il contrario, i transiti non sono diminuiti, sono solo più nascosti e più pericolosi”.
Secondo Frontex da quando Shengen è stato seppellito e i controlli di frontiera ripristinati fra Italia e Slovenia, gli arrivi dalla rotta balcanica sarebbero crollati del 78 per cento rispetto al 2023. Per il Viminale, la contrazione è più contenuta, “solo” del 48 per cento, con 6.200 persone arrivate tra il 15 ottobre 2023, quando i controlli sono stati ripristinati per arginare un presunto “rischio terroristico” all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e dell’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, e il 15 gennaio 2025.
Ma solo nel 2024 attivisti, operatori e volontari di Irc e Diaconia valdese hanno personalmente registrato 13.460 persone nuove a Trieste, con una diminuzione che non supera il 16 per cento rispetto al 2023 ed è appena del 3 per cento rispetto al 2022.
Trentamila fantasmi persi lungo la rotta
Dati probabilmente sottostimati: secondo Lubjiana, nel 2024 in Slovenia sono arrivate 46.192 persone ma pochissime si sono fermate per chiedere asilo. Tutti o quasi, dopo uno stop più o meno lungo hanno proseguito il viaggio e per loro l’Italia è quanto meno tappa necessaria. Traduzione, di più di trentamila persone si sono perse le tracce.
“Più che di diminuzione, parlerei di invisibilizzazione – spiega Gianfranco Schiavone, giurista di Asgi e fra i fondatori di Ics, realtà triestina pioniera dell’accoglienza diffusa in Italia – Le persone passano, ma non si vedono, segno che ad aumentare è stata solo la presenza di organizzazioni strutturate che gestiscono la rotta. È un processo che abbiamo già visto in Bosnia e di cui adesso vediamo segnali anche qui”. Con il fisiologico corollario di violenza, sopraffazioni, ricatti.
L’ombra della tratta
Dagli anni delle guerre nei Balcani, Trieste è sempre stata crocevia e barometro. Anche grazie a una rete sociale strutturata, che supplisce con il volontariato alle reti di assistenza pubblica, il primo snodo che permette di leggere le rotte e cosa stia succedendo. In “piazza del mondo”, sotto gli occhi una Sissi recintata e assalita dai topi, che di quel mondo è uno dei centri pulsanti e per chi in città si ferma per rifiatare o per restare, un punto di riferimento, si vedono molte meno persone con i piedi distrutti da mesi di camminata o di geloni, ma molto più silenziose, spaventate. Segno evidente – spiega chi in quella piazza ogni sera si presenta con cibo caldo, coperte, zaini, vestiti puliti e integri adatti alla stagione, farmaci – di una rotta sempre più controllata da qualcuno che non si mostra, ma la cui presenza si fa sempre più pesante.La città continua a essere per lo più un punto di transito.
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Un esercito di nuove schiave in transito
Le donne sole sono in aumento del 250 per cento. Tra quelle intercettate – due su tre sono nepalesi, le altre indiane o srilankesi – solo il 15 per cento, calcola Irc, ha intenzione di mettere radici a Trieste. “Un po’ è come il Nepal, ci sono mare e montagne così vicine”, racconta spesso chi chiede asilo. Un altro 16 per cento ha intenzione di rimanere in Italia, ma non a Nord Est, per tutte le altre è solo un’altra tappa del viaggio.
Dura anni, è strutturato, violento, passa per lunghi periodi di lavoro forzato in Romania o nei Balcani, si fonda spesso sulla paura e sulla minaccia di ritorsioni nei confronti delle famiglie rimaste indietro. La prima tratta si fa in aereo: si vola sugli aeroporti greci, serbi o romeni, dove per mesi o più le donne sono spesso costrette a lavorare di fatto come schiave in fabbriche, campi o alberghi o nei circuiti illegali per ripagare il proprio debito.
Loop longform trieste e la rotta balcanica
Poi, il viaggio prosegue lungo la rotta balcanica o, nel caso della Romania, attraverso i canali che fino al 1 gennaio era necessario seguire per aggirare le frontiere ancora presenti in Ue. “Adesso che anche con la Romania c’è la libera circolazione potrebbero esserci ulteriori modifiche, ma l’inverno è sempre un momento di fisiologico rallentamento dei transiti legato anche alle condizioni meteo”, spiega Papes. Di certo, non diminuiscono i pericoli a cui le donne sono esposte. “Le principali preoccupazioni in materia di protezione – si segnala nel rapporto – hanno a che fare con la potenziale esposizione a violenza di genere, tratta e sfruttamento sessuale”. E i permanenti, inspiegabili ostacoli all’ingresso nel sistema di accoglienza le espongono ancora di più.
Il paradosso triestino: i posti in accoglienza ci sono, ma la gente è costretta in strada
“Mediamente ci vogliono una decina di giorni prima che una persona possa presentare domanda, ma abbiamo incontrato persone che hanno atteso fino a un mese e mezzo prima di poterla formalizzare”, spiega Shiri, il mediatore di Irc. Nel frattempo, rimangono senza protezione, tetto, supporto che per legge hanno di diritto. Per di più, in larga parte si tratta di candidati naturali all’asilo: afghani, curdi iracheni, siriani o turchi, iraniani, nepalesi, pakistani spesso in arrivo da quelle zone contese lungo il confine con il regime dei taliban.
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Luigi Manconi e Chiara Tamburello
“Mediamente vengono gestite 10-12 domande al giorno, ma secondo i nostri dati ci sono almeno 37 persone al giorno che arrivano a Trieste. I posti in accoglienza ci sono, ma ci sono persone costrette a dormire in posti di fortuna o dormitori perché la loro domanda non viene formalizzata”, spiega Papes. L’ennesima declinazione territoriale della strategia della deterrenza nell’Italia in cui il rispetto di diritti e garanzie previste dalla legge è considerato “pull factor”. D’inverno, con i flussi ridotti imposti da neve e condizioni climatiche anche estreme, gli arrivi sono stati come sempre ridotti e il sistema ha retto. Per l’estate, quando la rotta si gonfia, c’è chi teme un’emergenza, dove non c’è ragione tecnica e strutturale perché ci sia.