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Ucraina, la gara per inviare cibo e coperte. “Ci sono feriti, servono anche bende”

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TORINO – Come torri di Babele al contrario, erette verso il cielo non per dividere ma per capirsi, le cataste di cibo e indumenti salgono di minuto in minuto. A destra le cose da mangiare, a sinistra quelle per coprirsi e scaldarsi. Da 48 ore è una processione senza fine, nel silenzio della piazza dell’ex arsenale, ma qui al Sermig l’unica bomba è l’umanità che deflagra da quasi quarant’anni, è il corteo dei torinesi che fermano automobili e furgoni, parcheggiano, aprono bagagliai e scaricano borse e scatoloni. Un tir è già quasi pieno: partirà domani o al più tardi dopodomani per Baia Mare, Romania, a 60 chilometri dal confine ucraino. Poi ci penserà padre Albano.

“La bontà è disarmante” sta scritto sul muro bianco laggiù in fondo, oltre l’atrio scoperchiato dai bombardamenti del 1942 e rimasto in parte così, anche per ammonire che guerra è sempre ma la pace di più. “L’imprevisto è stata la nostra crescita, l’imprevisto è la cosa più importante del mondo” racconta Ernesto Olivero, l’uomo che papa Wojtyla amava, autore di questo luogo miracoloso e semplice. Dal 1999, ogni mese parte un camion per la Romania, dove padre Albano Allocco stiva le donazioni nei suoi cinque silos e le distribuisce ai bambini di strada. Adesso, questa nuova e assurda guerra ha spostato i confini.

“La nostra passione sono le persone e i poveri” racconta Rinaldo Canalis, che per il Sermig si occupa di logistica e spedizioni. “Padre Albano ci è sembrata la persona perfetta per far arrivare le cose ai profughi ucraini che già affollano Baia Mare, soltanto sabato ne sono arrivati 14mila. Il dormitorio ne ospiterà una piccola parte, anche qui a Torino siamo pronti a riceverne, se occorre”.

Ucraina, a Kherson tra i civili stritolati dalla battaglia del Sud: i profughi sotto le bombe

dal nostro inviato
Giampaolo Visetti

27 Febbraio 2022

C’è una fila ordinata di gente all’ingresso, il Sermig è uno spazio enorme. Hanno lasciato qualche vecchio macchinario che serviva a produrre ordigni, c’è anche un piccolo cannone puntato verso il cielo, accanto alla vasca dei pesci rossi. Ed è tutto un mulinare di braccia e mani, non solo giovani, anzi, per spostare e scaricare la roba. “La risposta di Torino ha sconvolto persino noi che siamo abituati alla bontà” spiega Rosanna Tabasso, al Sermig da molto tempo. “Chiediamo, se possibile, di non portare vestiti, di quelli ne abbiamo più che a sufficienza, ma cibo a lunga conservazione, anche latte in polvere e pannolini per neonati e bambini. E poi coperte. Ai profughi servirebbe materiale chirurgico, bende, cotone, siringhe, aste per flebo, filo per suture, questo ci stanno chiedendo e noi ci adopereremo contattando ditte del settore sanitario”.

Occorre quasi tutto, e moltissimo sta arrivando. Servono generatori di energia a motore per dare luce e calore dove l’elettricità non esiste più, servono termoconvettori, passeggini, carrozzine per disabili, stampelle. Bisogna immaginare un’umanità ferita di cui prendersi cura, corpi dolenti, arti gravemente offesi, bambini che tremano nel freddo. I carrelli traboccano, le persone portano le loro cose, scatoloni pieni della “spesa grossa”, e poi dicono anche grazie prima di salutare e uscire. Un paio d’ore qui dentro e va in crisi anche il più cupo pessimismo.

Oggi ci sarà una marcia pacifista con bambini e ragazzi, il corteo parte alle 14 e arriva dal sindaco Lo Russo. “Spiegare una guerra ai più piccoli e vincere la loro tristezza è un nostro compito non marginale”, dice Rosanna.

Alla frontiera porta d’Europa: “I polacchi, nostri fratelli, ci difenderanno da Putin”

dal nostro inviato
Corrado Zunino

26 Febbraio 2022

Il Sermig è aiuto ai poveri, ai senza casa, ai senza cibo. “Abbiamo soltanto 200 posti letto, siamo sempre pieni ma fuori dalla porta non è mai rimasto nessuno. Ci anima un pensiero piccolo e potente: il mondo può cambiare”. Dai finestroni scende un sole tiepido, ma dentro ci si muove in giacca a vento. Siamo vicino a Porta Palazzo, è il borgo delle trentasette nazionalità diverse e del torrente Dora che nel 2000 straripò e fece un macello: sul muro esterno dell’Arsenale è tracciata una riga, qui arrivò l’acqua e nessuna sventura è senza risposta. Provarci si deve. “Però io sento la vergogna di essere russa”, racconta Ekaterina Dudulyak, cuoca volontaria del Sermig. “Ma voglio dire chiaramente che i russi non sono Putin, tutt’altro. Lui ha solo un delirio di onnipotenza e noi ci sentiamo dalla parte degli ucraini, così deboli. Questa guerra è il fallimento collettivo del mio popolo. Anch’io, personalmente, sento di non avere fatto abbastanza per la pace, cominciando dal mio cuore per finire, forse, al mio voto”. È lo stesso pensiero di un altro giovane volontario russo del Sermig, si chiama Andrej e dice soltanto una cosa: “Mi sento vergognato”.

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