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“Una psicologa per i futuri preti”: la Cei accoglie l’invito del Papa

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ROMA – Nanni Moretti non aveva osato tanto. Nel suo Habemus Papam, girato un paio di anni prima dell’epocale rinuncia di Benedetto XVI, i cardinali consigliano un Papa in crisi, impersonato da Michel Piccoli, di rivolgersi a uno psicanalista. “I cardinali sono disponibili a chiedere il sostegno della psicanalisi”, spiega allo psicanalista Moretti un sussiegoso officiale vaticano, “nonostante il naturale scetticismo che lei senz’altro immaginerà”.

Scetticismo a parte, Papa, cardinali e terapeuta sono tutti rigorosamente maschi. Ora la Conferenza episcopale italiana sta valutando di inserire nella formazione dei seminaristi il confronto con una psicologa donna. Le crisi esistenziali del Pontefice morettiano non c’entrano, né c’entra il fatto che il Papa vero, Francesco, durante un momento particolarmente delicato della sua vita si rivolse per alcuni mesi a una psicanalista ebrea: “Era una persona buona, per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni”, ha raccontato lo stesso Pontefice argentino, sfidando lo scetticismo che ancora aleggia nella galassia cattolica verso la psicoterapia.

Non, però, in seno alla Conferenza episcopale italiana. Che ha recentemente deciso la stesura di una nuova “ratio nationalis” per la formazione nei seminari d’Italia, ossia il documento di riferimento per la formazione dei futuri presbiteri.

I vertici della Cei hanno affidato a un’equipe l’elaborazione di una bozza che passerà poi dalla commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e dovrà essere infine approvata dall’assemblea di maggio 2023. Sul tavolo ci sono diverse idee innovative, alcune in forma sperimentale. E, a quanto si apprende, tra le proposte c’è quella di introdurre uno psicologo o, meglio ancora, una psicologa.

Alla base dell’idea c’è la premura per la formazione all’affettività e alla sessualità dei futuri sacerdoti. Si tratta di due ambiti ancora trascurati in molti seminari. Nonostante già sotto Benedetto XVI, nel 2008, il Vaticano raccomandasse ai formatori “la sensibilità e la preparazione psicologica adeguate per essere in grado di percepire le reali motivazioni del candidato, di discernere gli ostacoli nell’integrazione tra maturità umana e cristiana e le eventuali psicopatologie”.

La crisi degli abusi sessuali del clero sui minori ha messo drammaticamente in luce questo problema. Sbagliare la valutazione di una vocazione, sottovalutare inettitudini psichiche, non accorgersi di vere e proprie inclinazioni all’abuso che possono sfuggire a un occhio non esperto e manifestarsi solo dopo l’ordinazione sacerdotale, possono avere effetti devastanti. “È meglio perdere una vocazione che rischiare con un candidato non sicuro”, ha avuto a dire Papa Francesco: il seminario “non è un rifugio per tante limitazioni che possiamo avere, né un rifugio di mancanze psicologiche”.

Tanto più se, formato in un ambiente tutto maschile, il sacerdote viene poi catapultato in una parrocchia dove non bastano gli studi di teologia e omiletica, la conoscenza della buona dottrina e del catechismo, ma bisogna affrontare problemi concreti, vite complesse, situazioni contraddittorie. E bisogna interagire con le donne, che sono peraltro la maggioranza dei fedeli.

Il tema non è nuovo. Evocando il “sano influsso della spiritualità laicale e del carisma della femminilità su ogni itinerario educativo”, Giovanni Paolo II già nel 1992 scrisse, nell’esortazione apostolica Pastores dabo vobis, che “è opportuno coinvolgere, in forme prudenti e adattate ai vari contesti culturali, la collaborazione anche dei fedeli laici, uomini e donne, nell’opera formativa dei futuri sacerdoti”, e sottolineò che “dalla loro collaborazione, opportunamente coordinata e integrata alle responsabilità educative primarie dei formatori dei futuri presbiteri, è lecito attendersi benefici frutti per una crescita equilibrata del senso della Chiesa”. Le indicazioni di Wojtyla sono state però largamente disattese.

Ora è la Cei a riprendere in mano quelle raccomandazioni. La figura di una psicologa ribalterebbe lo schema: nella vita dei seminaristi entra non solo una donna, ma una professionista che riveste un ruolo di guida nella maturazione personale. Il pastore d’anime avrà tutto il tempo per rivolgersi ai fedeli dal pulpito o dall’altare. Prima, è l’idea che circola tra i vescovi italiani, gli farà bene aprirsi a uno sguardo scrutatore femminile.

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