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Unabomber, il capello e la traccia di saliva. “Riaprite le indagini, ora possiamo trovarlo”

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Padova – Un mistero scandito da 34 attentati che dura ormai da 28 anni potrebbe tornare sotto i fari degli investigatori. Unabomber, il bombarolo seriale che tra il 1994 e il 2006 colpì tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, è ancora un fantasma nonostante le indagini di cinque Procure. Ma le tecnologie scientifiche hanno fatto passi da gigante e proprio per questo motivo oggi potrebbero consentire di dare quelle risposte che vent’anni fa nessuno riuscì a trovare. Ci sono un capello bianco e una traccia di saliva, erano stati repertati dopo il sequestro dell’uovo esplosivo al supermercato “Il Continente” di Portogruaro. Partirà da questo la nuova indagine su Unabomber, una piccola speranza per tutte le vittime rimaste ferite e mutilate.

Una montagna di documenti

Un giornalista, Marco Maisano, ha ottenuto l’autorizzazione dal procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo, a esaminare la montagna di reperti e documenti accumulati durante le indagini coordinate dalle procure di Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e Trieste. Nel setacciare il materiale, Maisano ha trovato le carte che fanno riferimento al capello dell’uovo inesploso il 3 novembre 2000 al supermercato e anche i verbali in cui parla delle tracce di saliva. Ha chiesto quindi ufficialmente un’analisi di questi articoli, con i nuovi strumenti tecnologici della polizia scientifica. A giorni potrebbe arrivare la richiesta di riapertura delle indagini, di quello che stava per essere archiviato come un cold case. Marco Maisano, autore e conduttore televisivo, ha trasferito tutto questo lavoro d’inchiesta su una serie podcast per OnePodcast (l’iniziativa audio del gruppo Gedi) che andrà online a novembre con rivelazioni esclusive.

Unabomber e la dinamite fai-da-te, ma trent’anni dopo resta solo un volto

di Luca D’Andrea

16 Luglio 2022

La serie di esplosioni e le loro vittime

Dalla sagra degli Osei il 21 agosto 1994 a Sacile, con il tubo di ferro riempito con polvere da sparo e biglie di vetro, fino all’ordigno piazzato in un bagno della Procura di Pordenone, passando per l’evidenziatore che ha mutilato Francesca Girardi all’età di 9 anni, quelli di Unabomber sono stati anni di sangue. E di paura. Anna Pignat, che oggi ha 70 anni, toglie la protesi dalla mano destra e davanti alle telecamere Rai dice: “Ecco il regalo che mi hai lasciato. Lo volete vedere? Eccolo”. Nadia Ros che subì l’amputazione delle dita spremendo un tubetto di salsa di pomodoro, Claudio Cicalò ferito da un tubetto di bolle di sapone, il pensionato Giorgio Novelli con il tubo che gli esplose in faccia nella spiaggia di Lignano. I loro racconti sono ancora vividi.

La pista Usa, “inch” invece di “cm”

A firmare l’istanza che potrebbe determinare l’apertura del nuovo capitolo istruttorio, insieme a Maisano, sono state proprio due delle vittime: Francesca Girardi e Greta Momesso, la bambina che venne ferita dalla candela esplosiva nel duomo di Motta di Livenza. I misteri da chiarire sono ancora tanti, a cominciare da quella pausa fra gli attentati: una prima ondata tra il 1994 e il 1996, poi quattro anni di silenzio e, successivamente, altri sei attentati compiuti con una nuova e diversa tecnologia. Dai tubi metallici Unabomber passò a ordigni in miniatura confezionati con la nitroglicerina: sul nastro adesivo recuperato dagli investigatori in una delle trappole esplosive, si scoprì che le misure venivano prese in “inch”, pollici anziché centimetri, in stile americano. “Bisognava insistere sulla base di Aviano”, ha detto più volte l’avvocato Maurizio Paniz, il legale dell’ingegnere di Azzano Decimo Elvo Zornitta, a lungo accusato di essere il bombarolo seriale, salvo poi essere prosciolto.

La manomissione e l’ingiusta condanna di Zornitta

La svolta fu nel 2014, con la scoperta della manipolazione di un lamierino trovato in un oggetto inesploso, a opera di un ispettore di polizia. Un elemento decisivo, che in un primo momento sancì la condanna di Zornitta. Ezio Zernar, l’ispettore, esperto in balistica, venne poi ritenuto responsabile della manomissione e condannato a due anni di reclusione. Alla sua condanna corrisponde la fine dell’incubo per l’ingegnere, filmato e intercettato a lungo dai carabinieri mentre armeggiava in modo sospetto nel suo garage. Prima di questo possibile nuovo scatto nelle indagini l’unico strascico giudiziario era quello legato ai risarcimenti: “Se non fossimo riusciti a scoprire la manomissione del lamierino, forse Zornitta sarebbe ancora in carcere”, ha detto l’avvocato Paniz. 

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