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Come cambia l’efficacia dei vaccini dopo sei mesi?
Secondo l’Istituto superiore di sanità, a sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale, “si osserva una forte diminuzione dell’efficacia vaccinale nel prevenire le diagnosi in tutte le fasce di età”. Se si osservano la trasmissione dell’infezione, l’efficacia passa dal 76% nei vaccinati con ciclo completo entro i sei mesi rispetto ai non vaccinati, al 50% nei vaccinati con ciclo completo oltre i sei mesi. Nel caso di malattia severa le due percentuali cambiano, si passa infatti dal 92% all’82%.
Quanto rischiano di più le persone non vaccinate?
C’è una differenza importante tra il rischio dei non vaccinati e quello di chi è vaccinato, al di là di quanto tempo è trascorso dalla somministrazione. Il tasso di ospedalizzazione per i non vaccinati secondo l’Istituto è 7 volte più alto rispetto a quello dei vaccinati da meno di sei mesi e 6 volte più alto di quello dei vaccinati da oltre sei mesi.Tra il 17 settembre e il 17 ottobre “il tasso di decesso nei non vaccinati è 10 volte più alto rispetto ai vaccinati da meno di sei mesi e 6 volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da oltre sei mesi”.
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Chi si infetta anche se è vaccinato è meno contagioso?
“Non necessariamente”, dice Andrea Cossarizza, immunologo dell’Università di Modena. “In chi si infetta ma resta asintomatico il virus non si replica in grande quantità. Quindi quella persona è anche meno contagiosa. Il legame con il vaccino è dato dal fatto che questo protegge anche e soprattutto dalle forme gravi di Covid, quindi chi si infetta comunque produce meno virus ed meno contagioso. Se però il vaccina non ha funzionato e quella persona sviluppa una malattia grave naturalmente è contagiosa come chi non ha avuto neanche una dose”.
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Cosa succede dopo 8 o 10 mesi a chi non fa la terza dose?
“Ci vorrà ancora un po’ di tempo per capirlo”, dice Cossarizza. I dati dell’Istituto superiore di sanità non fanno distinzioni, valutano i casi tenendo conto solo del limite dei 6 mesi. “La copertura potrebbe anche continuare a scendere ma ora non ci sono i dati per dirlo. Magari calano gli anticorpi come avviene sempre dopo uno stimolo antigenico ma questo non è un indicatore di mancata protezione. L’organismo potrebbe non produrli in continuazione solo perché non ha incontrato il virus di recente”.
Cosa avviene nell’organismo dopo la terza dose?
In questo caso c’è una sicurezza, come spiega sempre Cossarizza: “I dati ci dicono che grazie al booster somministrato a sei mesi dalla seconda dose la protezione viene rinforzata. Che gli anticorpi calino non c’è dubbio, anche se come ho spiegato non è detto che questo significhi minore copertura”. Fare la terza somministrazione, ha detto una ricerca guidata da Rino Rappuoli di Tls (Toscana life sciences) e pubblicata di recente su Lancet, protegge anche da tutte le varianti.
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Se la protezione cala perché il Green Pass vale un anno?
Secondo Cossarizza i dati non giustificano ancora un accorciamento della validità. “Tendenzialmente ha ancora senso farlo durare un anno, perché una persona vaccinata è comunque molto più protetta di chi non ha fatto neanche una somministrazione. E infatti bisogna insistere sulle prime dosi”. Per l’immunologo tra l’altro va considerato che, in generale “c’è un allentamento delle precauzioni che era inevitabile, visto che bisogna riprendere almeno un po’ a fare una vita normale. Sempre ovviamente rispettando le misure di cautela”.
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I vaccini dovevano fermare la pandemia. Perché non accade?
“In realtà l’hanno rallentata e soprattutto stanno avendo un effetto importante sui casi gravi e sui morti, come dimostrano i dati”, dice Cossarizza. Però la protezione data dai vaccini dopo alcuni mesi scende. “Per ovvi motivi non era e non è tuttora possibile prevedere la durata della copertura. Tra l’altro oggi ancora non abbiamo un cosiddetto correlato di protezione ben validato. Cioè non siamo in grado di capire dall’analisi degli anticorpi dei cittadini se esista un livello protettivo contro il virus e quale esso sia”.
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È giusto dare il Green Pass con il tampone?
A Cossarizza questa regola “piace pochissimo. Perché una persona si potrebbe benissimo infettare subito dopo aver fatto il test, quindi anche prima di dover mostrare il Green Pass a qualcuno. Certo, la carica virale iniziale, cioè dei primi due giorni, è piuttosto bassa proprio perché quella persona si è infettata da poco. Però il rischio c’è”. Quindi non è una questione di tipologia di tampone, rapido o molecolare. “Anche se il secondo esame è più sensibile e quindi meno esposto a falsi negativi, il rischio è il contagio successivo”.