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C’erano una volta le belle vendemmie dopo le calure estive. Agricoltori e vigneron iniziavano il rito della pigiatura subito dopo il mese di agosto, spesso in quello di settembre, mese tradizionalmente legato alla vigna e ai suoi frutti. Caldo asfissiante di giorno e afa senza sosta di notte hanno anticipato la raccolta delle uve da nord a sud del paese, ma con effetti diversi.
Vendemmia in anticipio per il clima
In Franciacorta hanno iniziato il primo di agosto, sull’Etna rimandati a settembre. In Veneto si partirà addirittura a Ferragosto e in Bassa Langa sarà la vendemmia più anticipata di sempre con un anticipo di dieci giorni rispetto alla media storica. Le piante a bacca rossa con tempi di maturazione più lunghi, anticiperanno anch’esse: il Dolcetto ancor prima della metà di settembre, poi la Barbera e, tra settembre e ottobre, i Nebbioli. Le stesse dinamiche in Toscana con il Chianti, in Campania e in Puglia. Il cambiamento climatico e l’annata particolarmente siccitosa hanno influenzato le vendemmie di tutta Italia, che tendono comunque ad anticipare la raccolta di una settimana o addirittura quindici giorni, adattando così il naturale orologio biologico della vigna a quello di questo clima che appare impazzito.
Danni contenuti per ora, ma i prossimi anni?
La particolare orografia del territorio italiano inoltre, rende tutto più complicato. Se la viticoltura di montagna può ancora tirare un respiro di sollievo, pare proprio il caso di dirlo, ad altitudini più contenute la mancanza di acqua e il grande caldo hanno esarcerbato la situazione in alcuni casi compromettendo anche la resa, specie nel nord del paese. “La siccità prolungata e le temperature altissime, che stanno caratterizzando questa estate 2022, rischiano di provocare gravi danni ad ogni settore del comparto agricolo e quindi anche al mondo del vino”, spiega Riccardo Cotarella presidente di Assoenologi. Secondo Roberta Ceretto, della storica azienda vitivinicola, sono le vigne ad altitudini più basse quelle a soffrire maggiormente, in questo caso tutto il territorio delle langhe. “Per adesso abbiamo contenuto i danni, ma un altro anno così ci costringerà a bussare al Ministero per l’irrigazione d’emergenza”.
Inventare come aiutare le piante quando vanno in sofferenza
Dello stesso avviso è Valentina Abbona di Marchesi di Barolo: “Devi inventartele tutte, cerchiamo di sfruttare i terreni più ripidi per le correnti, ma nelle Langhe si soffre. Oggi fortunatamente abbiamo le competenze, ma bisogna aiutare le piante quando vanno in sofferenza”. E se secondo Marcello Lunelli di Ferrari il Trentino si è salvato anche grazie ai consorzi irrigui fatti trenta anni fa, che sono riusciti a dare ristoro sia ai meleti della Val di Non che alle vigne, l’enologo e vigneron toscano Alessandro Cellai vede una possibile soluzione nel lavoro specifico dell’agronomo, oltre al ricorso all’irrigazione d’emergenza. “Quello che bisogna cercare di fare è riuscire a capire cosa succederà domani, quindi anticipare i tempi. Oggi il clima è cambiato. Ristorare la vigna non è un capriccio, ma sopravvivenza”.
Sicilia unica regione senza disagi
I disciplinari non permettono infatti il ricorso all’irrigazione se non appunto in casi di emergenza, quell’emergenza che oggi è normalità anche secondo Ettore Prandini. Il presidente di Coldiretti è comunque ottimista su resa e soprattutto qualità delle uve: “La qualità delle nostre uve è ottima, le piante sono sanissime. Anche la perdita è stata molto contenuta con un calo fisiologico che va dal 3% al 10% per cento”. Eccellenti anche i numeri dell’esportazione. Circa 8 miliardi di fatturato, lo scorso anno erano 7. Un ottimo risultato se consideriamo gli handicap sopracitati. Chi non ha quasi risentito di questo disagio climatico è la Sicilia. “I dati delle ultime due vendemmie, con una qualità sempre più alta, confermano che la Sicilia mostra una buona resistenza rispetto ai sempre più evidenti cambiamenti climatici”, commenta il presidente di Assovini Sicilia, Laurent de la Gatinais. Anche sull’Etna la situazione è buona. Francesco Cambrìa di Cottanera e presidente del Consorzio Etna Doc, parla di un’ottima annata e chiude il suo primo semestre di presidenza con un incremento di produzione del 30%. “Sull’Etna ci riteniamo fortunati, siamo in alto e sia il Nerello Mascalese che il Carricante sono vitigni tardivi. Il nostro microclima e la nostra esposizione al mare sono uniche al mondo”.